Il reggaeton è più rivoluzionario del rock? Lo scopriremo in questa puntata con Vergo, musicista, artista, autore e produttore.
Palermitano trapiantato a Milano, nel 2020 pubblica “Bomba”, brano che che raggiunge i 2.7 milioni di stream e lo rende uno dei volti più memorabili di X Factor 2020. Vergo mette a frutto la sua formazione classica componendo e producendo la sua musica elettronica, contraddistinta da uno tocco che sfugge alle gabbie dei generi tradizionali.
Andiamo con lui alla scoperta dell’importanza dell’arte queer, delle sperimentazioni di Franco Battiato e Giuni Russo, senza dimenticare l’ironia della musica popolare palermitana che lui mescola con messaggi di assoluta contemporaneità.
PF: Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto. Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.
Ed eccoci qua. Oggi parliamo di musica con Vergo, musicista, artista, autore e produttore.
Nato a Palermo, si trasferisce a Milano per avviare la carriera musicale. Nel 2020 pubblica Bomba, brano che raggiunge i 2,7 milioni di stream e lo rende uno dei volti più memorabili di X Factor 2020. Tra i suoi singoli ricordiamo “L’animo Nero”, “Balera”, “Altrove”, “Demone” e “Superomantico”, contraddistinti da una ricerca che parte dalla musica elettronica, esplora e il reggaeton riletto in chiave pop europea, arrivando a mescolarsi con altri generi, persino con la musica tradizionale siciliana. Di recente ha firmato con l’etichetta Oyez! ed è arrivato in brano “Lamento d’amante”, preludio di un progetto corposo e articolato che riserverà qualche interessante sorpresa.
Ciao Vergo, benvenuto Parola Progetto.
V: Ciao Paolo.
PF: Partiamo dalla tua formazione. Hai studiato canto, chitarra, pianoforte, poi hai frequentato un corso di musica elettronica presso il conservatorio di Palermo. Mi chiedo: quanto influisce una formazione classica in un tipo di musica come la tua che classica non è?
V: Ho avuto la fortuna da piccolo di poter ricevere degli insegnamenti di stampo un po’ più classico, jazz. Iniziai a prendere lezioni di canto jazz quando avevo 13-14 anni e con il tempo iniziai a prendere lezioni di chitarra, di pianoforte da un insegnante classica al conservatorio. A un certo punto iniziai a capire che quello era l’aspetto, diciamo, più tecnico, che è importante, è strumentale e va benissimo. Però no, non ci voleva solo quello, a un certo punto ci voleva una fase di ricerca proprio interiore. Me ne sono reso conto soprattutto quando iniziai ad andare al conservatorio nell’ambito universitario a fare il corso di musica elettronica. Stetti due anni e poi non mi fermai perché c’era anche un discorso economico. Quindi dovetti fare delle scelte e mi resi conto che in quel momento era più importante investire sulla parte di ricerca personale, stare all’interno di un ambiente, esplorare proprio dentro di sé per trovare la propria cifra stilistica con gli strumenti che avevo e che avevo raccolto nel tempo.
E quindi sì, è importante la formazione classica, però non è determinante, ecco. È un percorso artistico. Nel mio percorso ho sì studiato, ma ho avuto anche tanti progetti. Come dire, ho avuto modo proprio di affrontare tantissimi generi musicali. Non mi aspettavo minimamente di avere a che fare con la musica jazz. Mio padre mi disse: “Sai, questa cosa sento che ti sta giovando molto sulla creazione delle – come dire – si direbbe top line, quindi le melodie del canto. Devo dire che un po’ aveva ragione, [visto] che la musica jazz si basa molto sull’aspetto di improvvisazione.
PF: Quanta improvvisazione c’è nella musica elettronica?
V: C’è tanta improvvisazione, proprio come mood, vorrebbe da dire. Nel senso che oggi, essendoci tantissima musica ed essendo tutto tanto contaminato, si cerca di mostrare il lato più personale, il lato più caratteriale nella musica. E questo lo si fa improvvisando dei legami tra diversi generi musicali, che è un po’ quello che ho fatto io, soprattutto nell’ultimo singolo, in “Lamento d’amante”. Comunque nell’ultima fase del mio precorso artistico, ho cercato di abbracciare diversi generi, ma in maniera di tutto spontanea, proprio improvvisando, non sapendo nemmeno dove sarei andato a finire. [Dopo] tutta questa serie di
tentativi, poi sono arrivato a questo. Secondo me è un approccio che, chi fa musica oggi, proprio persegue, perché altrimenti si rischia di essere legato al genere senza dare nulla di sé.
PF: È quasi come se si improvvisasse anche il genere, nel senso che la sperimentazione di ogni musicista, come dici tu, può portare anche alla nascita di generi nuovi.
V: Tutto, secondo me, si basa su quello che è l’intento. Il mio intento era quello di rappresentare me stesso nell’ambiente musicale e dire: “Ma a una persona che potrebbe ascoltarmi per la prima volta, cosa arriverebbe di me? E non solo a livello, come dire, di quello che sto cantando, a livello testuale, delle parole, del canto, ma proprio anche dell’ambiente sonoro. Quindi quello che ho pensato è: “Io cosa sono? Cosa sentiresti nel mio brano?”
Devi sentire che sono un ragazzo siciliano che però abita a Milano, che ha avuto una serie di contaminazioni nel tempo dal punto di vista elettronico, rock, jazz, pop, italiano. Cioè, è quella la chiave, la direzione che volevo dare.
PF: Certo. Infatti anche nei tuoi testi mescoli spessissimo l’italiano, con il siciliano, con l’inglese, con lo spagnolo. Questa sorta di mescolanza di elettronica e – diciamo pure – il mondo mediterraneo, quindi qualcosa di un po’ più freddo con qualcosa di decisamente più caldo, può essere in un certo qual modo anche la tua cifra stilistica? Un’area di ricerca nella quale ti stai muovendo e – a mio avviso – molto bene?
V: Sì, immagina che questa cosa venne notata durante X Factor. Tra l’altro, a livello, diciamo, televisivo nelle prime puntate si dava valore a questa cosa. Poi improvvisamente, nella quarta, divenne un problema. Ovviamente, se fatto in una chiave che mi piace, e che sento di poter presentare poi all’esterno, mi piace che si possa sentire questo mix di generi. In “Lamento d’amante” non è semplicemente una voglia di far ascoltare elementi di diversi generi. Per esempio, a un certo punto, alla fine del brano di “Lamento d’amante”, senti in qualcosa che si avvicina, che ha a che fare con la drum and bass.
Questa cosa non è solo un, come dire, “Sai che c’è? Ti voglio fare sentire la drum and bass, sbam!” No, non è così. Cioè, nel senso, era funzionale per la dinamica del brano, ma anche la dinamica emotiva del brano, dove tutto si faceva un poco più freddo, rigido, duro, arrivando ovviamente a questa scelta insieme al ragazzo con cui ho prodotto il brano, che è Giumo. Abbiamo poi capito che era proprio l’elemento giusto, che poteva benissimo chiudere il brano.
PF: Mi collego proprio al fatto che tu abbia citato “Lamento d’amante”. A me ha fatto venire in mente Leonardo Sonnoli, che è uno dei più grandi grafici italiani. È stato un ospite anche lui di Parola Progetto ed è tra l’altro l’autore anche del logo di Parola Progetto, insomma, mi ha onorato di questa cosa. Nella puntata in cui abbiamo dialogato insieme, abbiamo discusso del confine tra leggibilità e illeggibilità. Lui ovviamente lo fa con la grafica e raccontava di come gli piaccia spingere font e parole al limite dell’incomprensibile, modificando, ingrandendo, allungando tutte le varie parti, insomma, trasformandole in cose proprio difficili da leggere, difficili da comprendere. Sentendo “Lamento d’amante” mi è tornata in mente quella cosa, perché mi sembra che tu lo stia facendo in un certo qual modo con i testi, quando ad esempio, non so, a volte usi l’autotune o i filtri per mascherare la voce e le parole, fino a renderle quasi come se fossero dei suoni puri. A volte accosti dei passaggi chiarissimi, limpidi, cristallini, comprensibilissimi, ad altri che invece diventano immediatamente ermetici, mascherati, difficili da comprendere. Ecco, questi contrasti come nascono nella tua composizione?
V: Io penso che questa componente venga fuori da quella che è la mia contaminazione con l’hyperpop, che è un genere musicale elettronico, dove si prendono dei suoni e si fanno dei tagli molto drastici. E questo processo l’ho un po’ attuato nella mia voce, facendo proprio materialmente questi tagli molto drastici, di frammenti molto piccoli e facendoli diventare poi dei veri suoni.
Di base nel mio processo creativo, nel mio processo di scrittura inizio dalla linea melodica. Sono cantautore, però sono quel [di quel tipo di] cantautore più tendente al pop, quindi per me è molto importante l’aspetto melodico, la top line. E quello che poi viene fuori, su quella linea melodica, io costruisco il testo. Non sono quel tipo di cantautore, come dire, alla De André, dove tutto veniva fuori in base al testo. E quindi, partendo proprio da questo processo, l’hyperpop mi contamina ancora di più. Ci sono dei momenti in cui è importante che si sentano quelle parole, ma possono essere in quel momento anche storpiate o interrotte o ripetute in un certo modo, e per eseguire anche una certa musicalità.
PF: La grande notorietà è arrivata con X Factor 2020. Io ricordo perfettamente la tua prima performance con “Bomba”. Chi ha visto X Factor quell’anno non può non ricordarsela. Ricordo che mi si era talmente attaccata, mi aveva colpito talmente che tutto quello che vedevo in quell’edizione e mi piaceva, dicevo “Oh, Bomba!”. Era diventato quasi un meme. Ricordo perfettamente questa performance, ricordo perfettamente la coreografia, i movimenti che facevi. Ecco, come è nato questo – mi vende da dire – “progetto Bomba”?
V: È nato dalla collaborazione con l’etichetta Fluido Studio, di Portopapa e ilromantico. E ilromantico è stato il produttore del brano “Bomba”. Ovviamente ricordiamoci che nel 2020 io avevo pubblicato con loro ad aprile/maggio il primo singolo nato da quella collaborazione, che era “L’ánimo nero”. A un certo punto mi viene chiesto di realizzare un brano estivo, così mi viene proposto questo, si direbbe beat, questo arrangiamento che inizialmente non mi faceva tanto impazzire. Poi a un certo punto mi arriva questa opportunità di X Factor, di andare a fare i provini, e mi chiesero degli inediti; quindi, a un certo punto diventò urgente finire quel brano. Dopo un mese di buona volontà, tantissima buona volontà, scrissi questo brano che aveva anche all’interno un messaggio importante, un messaggio che soprattutto in quel periodo (e ancora oggi) mi rappresenta, che è quello del coming out. “Bomba” rappresenta il momento interiore in cui ti rendi conto di determinate cose, quel momento di consapevolezza che arriva nell’immediato. Nel mio caso è stato come se fosse una esplosione silente, però un qualcosa che mi presi con molta positività, che non era una roba negativa, anzi, era una riscoperta di se stessi. Quindi poi a un certo punto sono andato, pensando “vabbè, come va va”. Invece poi mi ricordo al primo provino la cantai due volte – che la vollero sentire una seconda volta – e poi da lì è iniziato tutto il percorso di X Factor. Ma io non mi aspettavo minimamente questo feedback, tutto quello che poi è successo.
Ricordo il primo provino televisivo con quell’outfit blu. Sai, a X Factor, essendo un programma televisivo, spesso fanno questi provini un po’ ironici in cui si presentano dei personaggi con l’intento di creare un momento televisivo e far ridere più che altro. Mi sono reso conto che lì c’erano proprio delle persone che andavano a fare i personaggi. Mi ricordo che prima di salire sul palco ad un certo punto ho pensato: “ma non è che forse io sarò uno di quelli e non me ne sto rendendo conto? Io salgo sul palco, faccio “Bomba” con questo outfit e in realtà non verro per nulla presso sul serio?” Invece è stata una roba bellissima! Ogni volta che la canto (la sto anche riproponendo negli anni, soprattutto nelle manifestazioni del Pride, l’ho cantata recentemente al Roma Pride) sento che trasmette proprio delle vibrazioni positive sia a me ma anche a chi li ascolta, è bella questa cosa.
PF: Hai parlato del Roma Pride. Tu hai partecipato a diversi Pride nel corso degli anni, in tutta Italia. Nel testo di “Lamento d’amante” citi termini anche omofobi, parli di temi non semplicissimi. Il prossimo singolo, “Videocall”, racconta la storia a distanza tra due ragazzi. La tua scelta di proporti come artista queer, di trattare senza filtri tematiche LGBTQ+ e di presentarti senza mediazione per quello che sei, per te è una forma di attivismo o è semplicemente il racconto del quotidiano?
V: Io penso che oggi possa essere visto all’esterno come una forma di attivismo, io invece sto cercando di far diventare una cosa del tutto naturale, spontanea. Anche per esempio in “Lamento d’Amante”, nel girare i videoclip, nel raccontare questa storia, ho sempre cercato di trasmettere il fatto che non è una cosa strumentalizzata, deve essere semplicemente il racconto libero di una storia che è uguale a tantissime altre storie. Poi può essere visto anche come una sorta di attivismo, soprattutto da delle persone che sono un poco distanti dalle storie che racconto e che quindi non accettano ancora questo genere di racconto di due ragazzi, due ragazze, qualsiasi altra sfumatura possa esserci.
PF: Vergo ti devo svelare un segreto, io non amo il reggaeton. Però una tua frase mi ha colpito moltissimo. Ti cito: “Oggi il reggaeton ha una forza dirompente nel veicolare questi e altri messaggi, un po’ come lo era il rock, un genere che porta alla liberazione, esprime la voglia propositiva e celebrativa di sentirsi a proprio agio liberi sessualmente”. Ti assicuro che non avrei mai accostato il reggaeton al rock, però capisco – almeno mi sembra di capire – il tuo punto di vista. Ci spieghi per bene questo parallelo di capacità rivoluzionaria tra questi due generi così lontani?
V: Allora, intanto parlo per esperienza. Nel periodo in cui mi formavo in maniera del tutto classica, cantavo in diverse band, rock, alternative rock, indie, brit rock, e ricordavo comunque il potere dirompente del rock, l’energia. Il fatto che poi mi sia approcciato al reggaeton è stata una scoperta, non è stata una cosa che mi aspettavo nella vita. Secondo me, nel periodo storico in cui viviamo, il reggaeton ha un potere incredibile perché segue un’altra modalità di comunicazione, una comunicazione molto più leggera, ha delle vibrazioni diverse. Con questa leggerezza però riesce a veicolare dei messaggi semplici ma importanti che hanno un certo peso. E sento che proprio oggi questo ruolo ce l’ha questo genere e rappresenta assolutamente quello che voglio trasmettere alla gente che mi ascolta. Proprio non so io nel tempo cosa musicalmente [diventerò], dove andrò, però so di certo che [per] tutto quello [con cui] hanno a che fare le tematiche che affronto e anche i miei punti di riferimento – come Rosalia, Arca, Tokisha e tutta una serie di altri artisti che si stanno mettendo in prima linea su determinate tematiche – mi sento molto affine, molto rappresentato da questo mondo.
PF: Quali sono i tuoi altri punti di riferimento artistici oltre a quelli musicali?
V: Ma allora, sarebbero tutti un po’ legati all’aspetto musicale, sono sincero. Franco Battiato è un mio grande punto di riferimento, tant’è che lo portai anche a X Factor. A X Factor cercai di seguire un’idea di omaggio, ogni esibizione era un omaggio a dei miei punti di riferimento nella musica. La quinta puntata – se fossi arrivato alla quinta puntata – ci sarebbe stato il mio tributo a Giuni Russo un mio grande punto di riferimento. Li considero un po’… non dico dei genitori, però sono delle figure importanti perché mi hanno trasmesso degli input su come approcciarsi idealmente alla musica. Franco Battiato con quel suo senso di sperimentare a prescindere da quello che è il gusto che prevale nella scena in quel momento. A Giuni Russo invece [sono] molto legato anche per la sua storia artistica, sai, un po’ questo stampo molto classico, lei super tecnica, impeccabile e poi artisticamente esplode con un brano super leggero.
Altro punto di riferimento nella mia ricerca musicale [è] Rosa Balistreri, che è una cantautrice palermitana che incarna proprio tutto il carattere culturale delle mie origini, quindi tutto questo tratto melodrammatico un po’ tragicomico dello scrivere i brani, che sono tutti molto legati all’aspetto sentimentale.
Ho diversi punti di riferimento. Anche Laura Pausini è un mio punto di riferimento perché ha dato alla scena italiana un contributo importante che spesso si cercava di svalutare perché era Laura Pausini, perché faceva musica pop italiana, quindi una musica stupida secondo chi ascoltava altri generi, quando in realtà non si capiva davvero la gravità di quello che secondo me stava portando nella musica: una maniera di fare musica italiana che nel mondo è più apprezzata forse, che è sempre così.
Quindi, come dire, di punti di riferimento ne ho davvero tanti. Dico anche, meno male! Sono tante finestre, tanti paesaggi musicali.
PF: Vergo è arrivato il momento della raffica!
V: Oddio, sono un po’ preoccupato…
PF: Certo, devi esserlo! Allora, non sono domande cattive ma sono comunque dieci domande. Solo risposte secche, hai una possibilità di passare senza spiegare perché e una possibilità di argomentare, nel caso tu volessi spiegare il tuo punto di vista su una scelta.
V: Non ti assicuro risposte secche…
PF: Vediamo, vediamo. Allora, partiamo. Ludovico Einaudi o Raul Casadei?
V: Einaudi.
PF: Primo appuntamento a teatro o al cinema?
V: Al cinema.
PF: Quentin Tarantino o Wes Anderson?
V: Tarantino.
PF: Letteratura o poesia?
V: Poesia.
PF: Kylie o Madonna?
V: Madonna.
PF: Arancina o arancino?
V: Dai! Allora, argomento. Sono una persona inclusiva quindi direi entrambe, perché vengono da due territori diversi, hanno forme diverse, preparazioni simili però magari diverse in certe cose. Quindi dico entrambe, non si può scegliere. L’arancina è della zona palermitana, l’arancino è catanese e di altri territori.
PF: Facciamo arancin* con l’asterisco? Con la schwa!
Allora: jazz o rock?
V: Rock.
PF: Moda o arte?
V: Sono un po’, le vedo un po’ come la stessa cosa. Però, arte.
PF: Chitarra o violino?
V: Chitarra.
PF: Sicilia o Lombardia?
V: ….
PF: Puoi ancora passare, hai ancora un passo.
V: Ma va, passo!
PF: Ok, fatto! Finito.
V: Non ce n’è un’altra?
PF: No, ne abbiamo già fatte 10. Non ho quelle di scorta. Ti posso fare le domande che ho fatto a qualche altro ospite o quelle che ho già preparato per i prossimi ospiti.
V: Ci ho preso gusto!
PF: E vedi te! Ne devo preparare di più la prossima volta, vedi? La domanda finale che faccio a tutti gli ospiti di Parola Progetto: consigliaci un libro per te
importante
V: Guarda, ti dico un libro che sto leggendo piacevolmente nell’ultimo periodo che, è di Salvo Piparo, “Lo scordabolario”. Sarebbe il vocabolario delle parole palermitane scordate.
PF: Ma che bello!
V: Sì, però trattato in maniera, come dire, proprio alla palermitana cioè in maniera del tutto ironica, ben contestualizzata. Sì, sono siciliano, palermitano ma soprattutto quando mi sono trasferito ho iniziato questo processo di riavvicinamento verso la mia cultura. Poi andai a trovare questo libro di Salvo Piparo che fu una bella scoperta. Mi tiene compagnia soprattutto in certi momenti, mi fa sorridere tanto e ho scoperto delle espressioni che non conoscevo. Diciamo che il suo tentativo è un po’ quello di evitare la dispersione di certi termini dialettali, e quindi questo è anche un po quello che voglio fare io nella musica.
PF: Bene, grazie. Grazie del consiglio. Grazie anche per il tempo che ci hai dedicato.
V: Ma grazie a te di avermi invitato.
PF: Alla prossima allora. A presto.
V: A presto. Ciao Paolo
La puntata è stata registrata via Zoom il 15 giugno 2023 e pubblicata il 16 giugno 2023.
La trascrizione è avvenuta utilizzando strumenti di intelligenza artificiale e successivamente editata.
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