I link della puntata:
– il sito di DWA Design Studio http://www.dw-a.it
– Mariotti Fulget, i produttori del Silipol https://www.instagram.com/mariottifulget
– La mostra “Lightness on Paper” di Edizioni Lithos al Lake Como Design Festival https://www.lakecomodesignfestival.com/it/programma/lightness-on-paper
– “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar https://it.wikipedia.org/wiki/Memorie_di_Adriano
– “Libro illeggibile MN 1” di Bruno Munari https://corraini.com/it/libro-illeggibile-mn-1.html
Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto.
Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.
Ed eccoci qua.
Oggi, a Parola Progetto, abbiamo il piacere di ospitare Frederik de Wachter e Alberto Artesani, i fondatori di DWA Design Studio.
Nato a Milano nel 2005, lo studio è il frutto di un percorso di esperienze accumulate in Belgio, Spagna e Italia, che oggi si esprime in una varietà di progetti che spaziano dagli interni alle installazioni temporanee, dalle vetrine agli oggetti.
Nel corso di questa puntata, Frederik e Alberto ci racconteranno come DWA riesca a dare identità d’autore a ogni progetto, attraverso un dialogo continuo di ispirazioni diverse, tra arte, grafica e una grandissima passione per i materiali.
Esploreremo assieme un approccio progettuale che mette al centro, e uso le loro parole, il valore del design, applicato alle grandi e alle piccole cose.
Ciao Frederik, ciao Alberto, benvenuti a Parola Progetto.
AA: Ciao Paolo.
FDW: Ciao Paolo, piacere.
PF: Partiamo da una domandona, una domanda bella potente. Leggo sul vostro profilo ufficiale, apro le virgolette, “Crediamo nel valore del design”. Urca! Queste sono parole potenti che rivelano che per voi il design è un credo, un valore, una cosa molto seria. In che modo mettete in pratica questo proposito?
AA: Ma allora, per noi progettisti dovrebbe essere scontato di credere nel design perché comunque è un’espressione, innanzitutto è un’espressione nostra, è una visione che abbiamo delle cose, sia estetica ma anche deve tenere in considerazione che comunque creiamo una cosa che entrerà poi in relazione con gli altri, quindi in qualche modo dovrebbe migliorare o comunque aprire nuove strade.
Il design in certi casi, quando si lavora con le aziende o con altri tipi di clienti, è anche motivo di successo di una tale operazione, un tale progetto, è un successo nostro sicuramente ma anche quello dell’azienda.
FDW: Secondo me il valore del design può stare un po’ in tutto, non solo in progetti di adesso, cioè in oggetti quotidiani che nessuno considera più come design, che magari sono diventati talmente ovvi che migliorano un aspetto della vita quotidiana, e quello secondo me che è il valore proprio del design anche di oggetti non “di design”.
PF: Qual è secondo voi l’oggetto che meglio incarna i valori che voi ricercate? Intendo non necessariamente vostro, può essere anche un oggetto vostro, ma anche un oggetto che magari voi ammirate in maniera particolare o una situazione di design che ammirate in maniera particolare che incarna questo valore.
AA: Citando dei designer che noi amiamo, che io porto sempre nel cuore, sicuramente Achille Castiglioni è un esempio costante.
FDW: Di esempi di progetti nostri, c’è per esempio una maniglia. Ha avuto Alberto l’idea, vedendo un oggetto quotidiano già utilizzato per un altro scopo, di utilizzarlo come maniglia, cioè un semplice tubo dell’acqua, un gomito, crea quindi questo aspetto inaspettato e prende una seconda funzione con questo nuovo utilizzo.
PF: Certo, chiarissimo, chiaro.
AA: E chi lo guarda non pensa assolutamente a un tubo dell’acqua, idraulico, quindi crea un po’ questo crash.
PF: Alberto, cosa è successo nella tua vita professionale prima di DWA?
AA: Prima di DWA ho lavorato per un po’ di anni in uno studio di Milano, anche mentre studiavo. Volevo rendermi indipendente, quindi ho iniziato in maniera molto libera. Lo studio si occupava molto di retail. Era un studio piccolo, avevamo un gruppo di lavoro composto da 5-6 persone molto affiatate tra di noi. E devo dire che è stata un’esperienza molto formativa, perché ci occupavamo proprio dall’inizio alla fine del progetto, quindi dalla parte di progettazione. Disegnavo molto alla mano libera, facevo le prospettive, le presentazioni al cliente. Poi c’era tutta la parte invece di progettazione con AutoCAD, la vera progettazione per mettere in moto il progetto, fino al cantiere. Devo dire che questo mi ha formato molto. Poi dopo ho incontrato Frederik, da lì abbiamo iniziato da piccoli lavori insieme e poi è nato DWA.
PF: E tu invece Frederik, che giri hai fatto prima di arrivare a DWA?
FDW: Direi anche prima di arrivare in Italia, perché essendo belga ho conosciuto Milano facendo l’Erasmus. Durante l’Erasmus in realtà avevo già conosciuto Alberto. Sono tornato in Belgio, ho finito gli studi. Sono partito per Barcellona dove ho lavorato per un grande studio di architettura di paesaggio prima, che era completamente una cosa diversa da quanto avevo studiato, perché mi occupavo un po’ degli arredi urbani, eccetera. Poi sempre a Barcellona ho collaborato con un altro studio di architettura. Lì ho conosciuto un ragazzo italiano che mi ha detto “perché non torni a Milano, che ci sono tante opportunità?”. Così ho fatto, mi sono trasferito a Milano, ho lavorato in uno studio che faceva soprattutto allestimenti. Pian piano ho cominciato a fare i miei lavori che crescevano e poi ho detto ad Alberto “forse è meglio che ci alleiamo e facciamo uno studio insieme”. Quindi in realtà non c’è una data precisa [in cui nasce] DWA, noi mettiamo questa data 2005 che è un po’ quando abbiamo cominciato a fare dei lavori per conto nostro, però non è proprio una data fissa. [DWA] è un po’ cresciuto molto naturale, pian piano i lavori sono cresciuti e lo studio è cresciuto.
PF: Parliamo dell’estetica del vostro lavoro, poi andiamo in profondità sui materiali, sulla sostanza. Una cosa che mi ha sempre affascinato del vostro lavoro è questo rapporto costante che c’è tra superfici ruvide, sporche, segnate dal tempo, che si contrappongono invece a volumi decisi, monocromi, molto spesso riflettenti. Ma penso anche ai giochi di volume, tra macro e micro, a cose riconoscibilissime, quindi grandi maestri, magari accostate a elementi quasi misteriosi, non si capisce bene da dove arrivino. Quanto è importante per voi questa dimensione di contrasto costante?
AA: Nasce forse da… innanzitutto da una curiosità di sperimentare anche nuovi materiali, cioè [non] nuovi, materiali che provengono anche da contesti diversi, quindi [per] creare delle combinazioni che possono poi portare gli altri a dire “ah, ma dai, ma questo materiale che prima si utilizzava per una cosa, adesso invece qui prende tutta un’altra forma, un altro aspetto”.
FDW: Si crea un po’ una gerarchia anche nel progetto, perché se fosse tutto troppo monotono, non ci sarebbe un focus, quindi cerchiamo sempre di portare nel progetto un focus che attira l’attenzione, lavorando spesso con questo contrasto in modo che l’elemento spicchi di più. Penso, secondo me, anche il contrasto nei nostri progetti c’è perché sono progetti comunque fatti da due teste, cioè io a volte ho un’altra visione rispetto ad Alberto, veniamo da due contesti diversi, io sono più nordico, lui è più mediterraneo, secondo me all’inizio anche creava un clash abbastanza interessante. Adesso sono più italianizzato, essendo qua 24 anni, quindi magari il più nordico sta diventando lui adesso!
PF: Cito il vostro profilo ufficiale ancora una volta: “siamo una realtà multidisciplinare, attenta al mondo che cambia”. Come mantenete alta l’attenzione? Dove andate in cerca di contatto con la realtà? Quindi, in sostanza: come e dove fate ricerca?
FDW: La ricerca è sempre nel quotidiano, secondo me, e dai libri dei grandi maestri. Comunque nel passato sono state fatti progetti molto importanti, con uno sguardo molto fresco su come una persona agisce con il design o con l’interior. Adesso il mondo cambia, non lo so se è meglio o peggio. Ovviamente il mondo dei social ha cambiato anche l’approccio nel nostro design, secondo me, perché una delle prime cose che sempre chiedono i clienti, è che ci devono essere gli angoli per Instagram, eccetera.
E poi un altro aspetto è la sostenibilità, nel nostro lavoro credo che sia ancora abbastanza difficile [poter] essere sostenibili al 100%, è una cosa che tutti i clienti richiedono, però poi vedi in altri reparti in cui lavorano che non c’è una coerenza con quest’idea, quindi spesso sono solo delle gran parole. Non è facile, proviamo a capire anche noi dove poter intervenire per essere più sostenibili, solo che tira dietro ovviamente tutta una catena, sia di fornitori, di come viene fatta la lavorazione. Il mondo [del design] ancora secondo me non è pronto per essere sostenibile al 100%. Non può partire solo da uno studio di design, va fatto con tutta la filiera che ci sta dietro.
PF: Passiamo ai materiali. Voi usate spesso il silipol, che è un materiale piuttosto insolito con una storia molto speciale, che i milanesi lo conoscono molto bene anche se non se ne rendono conto. Di cosa si tratta esattamente? E cosa ci avete fatto col silipol?
FDW: Allora il silipol è una lastra, come fosse una pietra artificiale diciamo, un materiale duro che viene in lastra e che è una miscela di polvere, di granito e di marmo insieme col cemento e dei pigmenti. Crea queste piastrelle similcemento che sono maculate, possono cambiare di colore in base ai pigmenti che uno utilizza. A Milano sono state studiate negli anni ’50 da Franco Albini per rivestire le pareti delle stazioni metropolitane di Milano.
AA: Abitando a Milano ci trovavamo sempre di fronte, prendendo la metropolitana, di fronte a queste lastre. La cosa straordinaria è che appunto erano una diversa dall’altra, quindi queste macchie non si ripetevano mai e noi ci siamo sempre chiesti “ma che cos’è questo materiale?” Abbiamo fatto un po’ di ricerca e non riuscivamo a trovarene l’origine. Poi un bel giorno è saltata fuori l’azienda che produce questo materiale.
FDW: Che ce l’avevano un po’ nel cassetto perché c’era una produzione attiva, lo utilizzavano per fare i restauri delle vecchie [lastre].
AA: Quando è stato inventato è stato utilizzato non solo nella metropolitana, ma l’hanno anche usato come rivestimento per architetture, edifici, facciate, eccetera. Però si era perso. Ma la cosa straordinaria è appunto questa sua unicità. Ogni lastra è sempre differente dall’altra e in questo momento dove tutti chiedono la personalizzazione del materiale, di avere un’identità molto precisa, ci sembrava geniale. Quindi abbiamo contattato l’azienda e abbiamo iniziato un rapporto con loro cercando di rispolverare il materiale e renderlo un po’ più noto. È vero che i milanesi ce l’hanno sotto gli occhi tutti i giorni, ma adesso il progetto della metropolitana ha avuto mille cambiamenti, tentativi di imitazione. Lasciamo usare quella fotografica, in una metropolitana, in una fermata vicino al nostro studio, c’era una parte tutta rovinata dal tempo, adesso è stata stuccata e le macchie sono state riprodotte con la bomboletta di vernice facendo dei pois, così. Abbiamo contattato l’azienda e abbiamo cercato di comunicare questo materiale in una scala un po’ più piccola durante il Salone del Mobile, presentando degli oggetti, delle cose più legate al design.
FDW: La prima volta l’abbiamo usato in un progetto per Wallpaper Magazine e avevamo fatto un elemento, un tavolino con degli sgabelli per la colazione utilizzando questo materiale. Poi con l’azienda è nato un rapporto molto friendly e in realtà abbiamo cominciato a sperimentare anche su colorazione nuove, su come utilizzare il materiale anche nelle lastre più grandi. È stato molto bello questo percorso perché a loro ha acceso un po’ una lampadina di come questo materiale (che loro consideravano un materiale per il restauro degli edifici fatti in silipol) di come questo materiale possa avere un nuovo slancio, una nuova vita.
PF: Fate sia progetti temporanei che progetti duraturi, quali preferite? Perché so che molti progettisti quando devono fare tanto temporaneo sentono un po’ la mancanza di una sorta di dimensione di solidità, di progetti duraturi, mentre ce ne sono altri invece che amano fare e disfare, fare e disfare, fare cose che poi anche se scompaiono dicono “chi se ne frega, tanto poi il prossimo progetto sarà più bello”. Ecco, vorrei sapere da quale lato pendete di più, se verso il temporaneo o verso il duraturo. Ovviamente potete anche avere ognuno di voi una predilezione diversa.
AA: Per la nostra esperienza il temporaneo è stato da sempre, da subito quello che abbiamo sviluppato di più. Personalmente forse lo amo di più, con tutte le difficoltà del caso, perché è un tipo di progettazione che ha ritmi, tempi molto serrati. Bisogna avere ogni tanto dei nervi saldi. Mi piace perché bisogna prendere delle decisioni, ci sono dei tempi stretti e quindi dobbiamo, sia il cliente che noi come studio, arrivare a un punto per poter andare avanti, non si può tirare alla lunga un progetto come può capitare magari con altri tipi di progetti, forse più legati al residenziale, quindi al cliente privato.
FDW: Che non facciamo.
AA: Che facciamo pochissimo, io proprio non ce la potrei fare. A me continua sempre a piacere la parte più effimera. In certi casi ci dà molta libertà.
FDW: C’è un po’ più di possibilità di sperimentazione direi nel temporaneo. Il cliente se deve fare un progetto non effimero è forse meno coraggioso, e invece con l’effimero secondo me c’è più carta bianca di solito.
PF: Si lavora meglio con la moda o con il design?
AA: Con la moda ci abbiamo lavorato forse un po’ più qualche anno fa, adesso un po’ meno.
FDW: Sì, sicuramente per allestimenti molto meno, adesso [più che] con la moda stiamo più confrontando con il mondo del design. Quello che notiamo è che il mondo della moda ha dei budget molto più alti, molto più grandi, però hanno anche molto più esigenze, è molto più difficile imporre la tua visione. La visione con la moda di solito è già fatta da un art director che sta sopra, dal creative director, invece con il mondo del design secondo me c’è più dialogo per trovare un mondo che rappresenta loro ma che rappresenta anche il nostro lavoro.
PF: Parliamo di Como. Al Lake Como Design Festival siete stati tra i protagonisti di una mostra collettiva in collaborazione con Lithos, una casa editrice specializzata in stampe e libri d’arte. Oltre a voi, grandissimi nomi, quindi siete in ottima compagnia. Penso a Nathalie Du Pasquier, Valerio Gaeti, Francesco Faccin, Naessi Studio, Lucia Pescador, Franco Raggi, Mario Trimarchi, Michele De Lucchi. Direi che è una bellissima compagnia. L’idea alla base è quella di raccontare la leggerezza. Come l’avete raccontata la leggerezza nel vostro progetto?
AA: Io non ho mai fatto una litografia forse. Ho fatto liceo artistico, si sapevo comunque la tecnica, la conoscevo. Forse l’ho fatto una volta, ma parliamo veramente tanti tanti anni fa. Comunque c’era un embrione, già durante la pandemia. Non so perché, ho iniziato a disegnare delle piume. E quindi abbiamo ripreso questo tema e ne abbiamo costruito una sorta di architettura, di abitacolo, una macchina composta di piume che però sono abitate quasi come se fosse un nido. Perché comunque la piuma è già straordinaria di per sé come elemento naturale se parliamo di uccelli. Fanno da protezione del corpo, delle parti più delicate, ma ti permettono di volare, è una cosa veramente straordinaria.
Quindi questa architettura, questo abitacolo è sospeso nell’aria, ma si intravedono delle cose che appartengono più al nostro mondo, cioè la sedia o dei piccoli dettagli che ci lasciano intuire che quell’elemento è abitato da qualcuno e che tramite questa macchina può spostarsi liberamente, fermarsi. Un’architettura volante.
PF: Qual è la cosa che vi fa più arrabbiare?
FDW: Direi quando si vedono in giro dei progetti importanti, progetti di interior, o di design o di allestimenti fatti con dei grandi budget ma senza un pensiero, fatti male, con uno spreco di energia. Ogni tanto dico “ma perché hanno fatto questo?”
AA: Soprattutto sui progetti pubblici. A me fanno arrabbiare un po’ quelle cose che sono delle occasioni mancate e che poi ce le ritroviamo lì, e ce le dovremo tenere per anni. Lì, in quel caso non sono effimeri.
PF: Invece la cosa che vi consola di più, che vi dà fiducia comunque nel potere e nel valore del design?
FDW: Quando si vedono nelle cose fatte bene, anche con poco. Anche semplicemente una mostra con un colore alla parete [che è una] scelta azzeccata, che può essere semplicissimo, non per forza devi aver avuto degli investimenti miliardari per fare un progetto bello.
AA: Con questo non vogliamo dire che anche noi non possiamo sbagliare, non voglio dire “chiamate noi, perché noi vi risolviamo”.
PF: Errare è umano e forse anche necessario per migliorare.
AA: Sì, sì, è quello fondamentale. Però sicuramente quando ti trovi davanti a un progetto bello, che ti crea un’emozione, dici “wow!”.
FDW: Sì, è quasi sempre frutto secondo me di un dialogo tra più persone. Il dialogo tra un artista, un architetto, un designer, un grafico, un fotografo, crea poi una visione diversa, differente rispetto a quelle che si vede nel quotidiano. È un po’ il valore del design, di cambiare questa visione.
PF: Ragazzi, è arrivato il momento della raffica! Tutti mormorano quando arriva la raffica e io sono felice. Allora, vi ricordo le regole del gioco. Sono dieci domande a sorpresa, solo risposte secche. Avete una possibilità di passare e una possibilità di argomentare. Ovviamente nel vostro caso tutto è doppio. Visto che siete comunque nella stessa stanza, prima direi risponde Frederik, poi risponde Alberto. Le domande sono analoghe ma diverse.
AA: Sono 20.
PF Sono 10 e 10.
FDW: Ok.
PF: Diventa una raffica ping pong. Partiamo con la prima per Frederik. Fine settimana di lettura o di viaggi?
FDW: Di viaggio.
PG: Martedì e mercoledì di ferie a sorpresa. Dove vai Alberto, mare o montagna?
AA: Mare.
PF: Progettazione rapida o lenta?
FDW: Rapida.
PF: Prototipi in stampa 3D o modellini in legno?
AA: Modellini in legno.
PF: Frederik, sneaker o scarpe stringate?
FDW: Scarpe stringate.
PF: Alberto, maniche lunghe o maniche corte?
AA: Beh, dipende dalla stagione.
PF: Stai argomentando eh?
AA: Lunghe.
PF: Frederik, Milano o New York?
FDW: Milano.
PF: Alberto, Milano o Tokyo?
AA: Milano.
PF: Frederik, disegno su carta o disegno su tablet?
FDW: Disegno su carta.
PF: Alberto, libro di carta o e-book?
AA: Di carta.
PF: Frederik, tiramisù o plum cake?
FDW: Tiramisù.
PF: Per Alberto invece, pizza o panino col salame?
FDW: Panino col salame.
PF: Frederik, borsa o zaino?
FDW: Cioè, entrambi però direi borsa.
PF: Alberto, borsone o trolley?
FDW: Borsone.
PF: Frederik, musica jazz o pop?
FDW: Classica. Jazz direi.
PF: Questa la prendo come argomentazione. Alberto, musica italiana o internazionale?
AA: Internazionale, anche se poi ultimamente mi incuriosisce alcune cose di musica italiana.
PF: Frederik, auto o treno?
FDW: Treno.
PF: Alberto, treno o aereo?
AA: Aereo.
PF: Frederik, da un punto A a un punto B, meglio una linea retta o una linea curva?
FDW: Una linea curva.
PF: Alberto, meglio perdersi in un labirinto o in un bosco?
AA: Bosco.
PF: Bene ragazzi, basta, finita la raffica. Non avete usato il passo. Sono stato un po’ troppo buono con le domande a questo giro. Sarei dovuto ad essere un pochino più cattivo, ma va bene così. Ragazzi, la domanda finale classica di Parola Progetto. Consigliateci un libro, uno a testa, che per voi è importante e che dovremmo leggere anche noi.
FDW: Per me “Le Memorie di Adriano”, della Yourceanar, che ho letto ancora prima di conoscere l’Italia e che mi hanno fatto sognare un po’ di questo mondo, dell’antica Roma eccetera, che poi è diventata un po’ la mia ossessione, poi è diventata la mia vita l’Italia.
PF: Bene, bene. Alberto invece per te?
AA: Come progettista, va a dire di prendere in mano tutti i libri di Munari. Questo un po’ anche ripulire, come se fosse un po’ un ricominciare, perché sono delle basi secondo me fondamentali per un progettista, ma anche semplicemente “Il libro illeggibile” di Munari, che non ha parole, ma è composto solo di colori e di forme. Secondo me dovremmo averlo sempre accanto e risfogliarlo.
PF: Bello, bello, molto bello. Condivido entrambi i libri decisamente belli, belli. Bene ragazzi, grazie per essere stati con noi oggi.
AA: Grazie a te, grazie a Paolo.
FDW: Grazie a te per averci invitato.