Parola Progetto About
STAGIONE 7 — EP. 1

Michele De Lucchi: progettare con leggerezza tra poli opposti

09/2024 — 41:29

La nuova stagione di Parola Progetto inizia con un grande ospite, Michele De Lucchi.
Architetto, designer, artista, fondatore di AMDL Circle, De Lucchi ha vissuto da protagonista l’evoluzione del design italiano, a partire dal design radicale, passando da oggetti per aziende di tecnologia, fino ad arrivare a musei e ponti.
Con il suo lavoro ha lasciato tracce indelebili nelle nostre vite quotidiane: ne sono esempio la lampada Tolomeo di Artemide, i contatori Enel, gli oggetti di Alessi e persino le copertine di Harry Potter.
Con lui parliamo di progetti e di leggerezza, di materiali e di relazioni, di confini tra discipline e di poli opposti.

La puntata è realizzata in collaborazione con Lake Como Design Festival e con il supporto di Edizioni Lithos.

I link della puntata:

– il sito di AMDL Circle https://amdlcircle.com 

– Il sito del Lake Como Design Festival https://www.lakecomodesignfestival.com

– Il sito di Edizioni Lithos https://edizionilithos.it

– “Homo Deus. Breve storia del futuro” di Yuval Noah Harari https://it.wikipedia.org/wiki/Homo_Deus._Breve_storia_del_futuro

– “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle https://bit.ly/3BdWRaZ

PF: Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto. Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.

Ed eccoci qua.

Oggi siamo a Milano per dare il via alla nuova stagione di Parola Progetto. E stiamo con un maestro del design, Michele De Lucchi. Architetto, designer, artista, De Lucchi ha vissuto da protagonista l’evoluzione del design italiano, a partire dal design radicale, passando per oggetti per aziende di tecnologia, fino ad arrivare a musei e persino ponti. Con il suo lavoro ha lasciato tracce indelebili nelle nostre vite quotidiane. Ne sono esempio la lampada Tolomeo di Artemide, i contatori Enel, gli oggetti di Alessi e persino le copertine di Harry Potter. Con lui parleremo di progetti e di leggerezza, di materiali e di relazioni, di confini tra discipline.

Buongiorno Michele, benvenuto a Parola Progetto.

MDL: Buongiorno.

PF: Partirei dal luogo in cui ci troviamo. Siamo nella sede del tuo studio, AMDL Circle. Perché circolo e non, ad esempio, studio associato?

MDL: Perché siamo sotto un tetto, esattamente in questo momento, è il tetto che tiene insieme persone, collaboratori, assistenti, ma anche discipline diverse, competenze diverse, ingegneri, tecnici, umanisti, psicanalisti, antropologi, medici, neurologi. Insomma, siamo in un’epoca nella quale bisogna tenere insieme tutto. La specializzazione serve, è utile, ma se non scavi allargando il diametro del foro con il quale scavi, vai poco profondo perché tutto ti crolla addosso. E quindi Circle per me era la parola più adatta per identificare non solamente una comunità di architetti e designer, ma soprattutto una maniera di affrontare la realtà oggi, una maniera per affrontare la conoscenza oggi. Abbiamo tantissime conoscenze, molto specialistiche spesso, abbiamo bisogno di combinarle insieme per ottenere qualche cosa che abbia un senso più grande.

PF: A proposito di questo, sbirciando sul tuo sito, si trovano cinque aree nelle quali opera lo studio, che sono architettura, interni, design, grafica e arte. Ho notato una cosa: ci sono alcuni progetti che ricadono in più categorie, Ho visto delle cose, ad esempio, che mi fanno dire “questa è architettura” e invece era anche nell’arte. Servono queste categorie? Cosa succede a queste categorie?

MDL: Tocchi un punto veramente molto cruciale per me, perché sin dalla mia adolescenza ho sempre pensato che avrei dovuto pensare a fare un lavoro, fare quello, farlo bene e basta. Poi i vecchi ti insegnavano sempre “fai una cosa, fai quella, falla bene e basta”. Invece non sono mai stato capace di decidere cosa fare da grande. All’inizio volevo fare l’artista, poi l’architetto, poi sono diventato designer, poi pittore, scultore, adesso anche scrittore, musicista. No, musicista no, la musica non l’ho ancora fatta, però scrivo, scrivo tanto e in questo momento. Anzi la scrittura è la parte per me più impegnativa dal punto di vista creativo. Alla fine, sono contento che non ho mai preso decisioni, perché prendere una decisione avrebbe voluto dire anche classificarmi, trovare una categoria dentro la quale stare. Oggi le categorie sono utili per farsi chiarezza, ma non sono per niente utili per fare dei confini. Anzi, è proprio uno dei ruoli che attribuisco oggi a chi cerca di ispirare con il proprio lavoro le altre persone, è proprio quello di trovare i modi per rompere le barriere, trovare i modi per rompere i recinti. Non siamo più dentro dei recinti, non dobbiamo più stare dentro dei recinti, non solo metaforicamente, anche fisicamente, fisicamente nella vita, nella società. Mamma mia, quante barriere ci siamo fatti nella nostra società tra generi diversi, tra caste diverse, tra intelligenti e non intelligenti, tra furbi e pigri. Tutte le classificazioni in questo senso sono state non solamente perniciose, ma anche elementi che hanno fermato l’evoluzione del mondo, maniere di pensare che ci hanno in qualche maniera impedito di vedere le cose giuste da vedere.

PF: Ma questo desiderio, questa attitudine a rompere le barriere è qualcosa che hai scoperto strada facendo o c’era già anche in nuce all’inizio della tua carriera? Penso ad esempio al design radicale.

MDL: Sicuramente c’era in nuce, però non l’apprezzavo. Mi sembrava come di tradire l’ordine delle cose che l’umanità si era data per capirsi meglio. E invece è molto necessario rompere queste barriere. Più che “rompere”, che potrebbe sembrare un’attività violenta che danneggia, io direi “metterle insieme”, trovare la maniera di contemplarle insieme.

C’è un concetto molto bello che ho perseguito per tanto tempo, perché io sono gemello. Però essendo gemello ho un fratello identico a me, che è identico, che è la ragione per la quale ho la barba, e che mi ha fatto pensare che tutto dovesse vivere nella dualità. E dopo, non mi ricordo più in quale circostanza, invece qualcuno, qualcuno mi ha messo di fronte il concetto di dualità con quello di polarità. Anzi, è stata esattamente mia moglie, Sibylle, che mi ha portato a ragionare non in termini di dualità ma di polarità. Cioè, ogni cosa, molte cose, hanno una loro unicità, una loro indipendenza, e all’interno della loro indipendenza hanno i poli positivi e negativi, il polo buono e il polo cattivo, il polo luminoso e quello buio. Nell’elettricità, se non c’è un polo, non c’è elettricità. Fa pensare che tutto quanto debba essere considerato per i suoi aspetti più contrari, che stanno dentro però lo stesso argomento. L’elettricità è fatta da un polo negativo e un polo positivo. Se togli uno dei due, non hai più elettricità.

PF: È vero, è vero, perché non è una questione di contrasto, ma è una questione di somma, o magari di moltiplicazione.

MDL: Mi piace pensare che li abbiamo di fronte come elementi unitari, precisi, con all’interno di questa unitarietà i due poli, i due contrari.

PF: Nelle giovani generazioni (tu ci sei a contato tutti i giorni, perché anche in studio ci sono tante belle facce giovani) riconosci questo desiderio di superare il confine, di superare la categoria, o le trovi magari più rigide?

MDL: No, generalmente parlando direi che le nuove generazioni hanno di fronte tantissime potenzialità, che sono le potenzialità date dalle conoscenze scientifiche e dalla tecnologia, e che stanno maturando per far vedere a noi vecchi come convivono insieme e come insieme ci possono dare tanti benefici.

PF: Come si sceglie il materiale per un oggetto di design? Lo chiedo perché hai fatto delle cose memorabili con ogni materiale che mi venga in mente, dall’acciaio, al metallo, fino al legno ovviamente, ma tante altre cose. Lo so, forse è una domanda un po’ sciocca.

MDL: No, è bello anche poter usare dei materiali inaspettati in condizioni di utilizzi inaspettati. E sicuramente fa parte un po’ del progetto quello di inventare delle utilizzazioni non canoniche per materiali. Però la risposta che tiene meglio dentro questo argomento è direi quella relativa allo spirito del tempo. Sappiamo che viviamo in un determinato momento storico e sappiamo che c’è questa nuvola, questo spirito che veleggia nell’aria, che è uno spirito che ci fa sentire contemporanee alcune cose, vecchie superate altre, futuribili altre ancora.Cioè questo concetto per cui tutto ha un riferimento in qualche maniera con quello che l’umanità pensa, si aspetta, sogna, ambisce in quel momento storico. Questo è lo spirito del tempo, quello che i tedeschi chiamano lo zeitgeist, che è ancora più raffinato perché è il fantasma del tempo. È quello che ci fa percepire con una sensibilità di volta in volta diversa l’evolvere dei tempi. Percepire lo spirito del tempo è fondamentale per i designer, fondamentale per gli architetti, fondamentale per gli artisti. La prima lezione che faccio all’università ogni anno è proprio questa, sullo spirito del tempo. Che cos’è lo spirito del tempo? Che senso ha parlare di spirito del tempo? Cos’è che influisce sullo spirito del tempo? Perché molto spesso sono delle innovazioni tecnologiche, il telefonino è l’esempio più classico, più tipico per spiegare lo spirito del tempo di oggi, dell’over communication, dell’eccesso di informazioni nel quale viviamo, nelle reazioni pro e contro a tutte le cose. In realtà si esprime in tutto quello che facciamo, in tutti i nostri comportamenti.

Quello, per esempio, più divertente di tutti è il mangiare, perché il senso del mangiare, i gusti che noi abbiamo per certi cibi rispetto ad altri, per la cucina giapponese o per la cucina italiana, la cinese o la thailandese, la thailandese o la vietnamita, l’americana o la brasiliana. Tutto questo è molto insito dentro di noi, molto insito nella nostra maniera di vedere il mondo, di giudicare, perché noi abbiamo questo terribile modo di fare. Per cui dentro di noi, noi continuiamo a giudicare, o meglio, continuiamo a scegliere e a dare valore alle cose. Non è un dare valore alle cose perpetuo e definitivo. Il valore delle cose cambia in continuazione e cambia in continuazione proprio in funzione di come riceviamo questi impulsi ad essere attratti da qualche cosa o rigettati da altre.

PF: Sorrido perché hai risposto a una domanda che non ero riuscito a formulare, nel senso che avevo preso un appunto, guardando un po’ il tuo archivio, ho scritto “figlio del suo tempo” poi ho cancellato “figlio dei suoi tempi”, però non sono riuscito a formulare la domanda che era scaturita da questa osservazione. Per cui grazie. Però una domanda mi viene spontanea adesso. Dove si può osservare lo spirito del tempo o gli spiriti dei tempi? Ci sono dei metodi per trovare questa sintonia?

MDL: Lo spirito è lo spirito per cui non puoi afferrarlo, non puoi confinarlo, non puoi dargli una forma ed è bello che rimanga così. Quello che posso dire è che mai come oggi siamo sottoposti a un cambiamento continuo.Mai come oggi siamo proprio figli del cambiamento e genitori del cambiamento, promotori del cambiamento. E il cambiamento hai due possibilità di affrontarlo, o lo subisci o lo produce. Penso che in assoluto sia molto meglio produrlo o perlomeno parteciparvi al cambiamento e far sì che il desiderio di futuro, perché alla fine si tratta di questo, sia sempre vivo e dinamico dentro di noi. Progettare vuol dire desiderare il futuro, progettare senza futuro non ha senso, progettare cupole rinascimentali oggi non è progettare, è semplicemente rifare, applicare delle regole, sono delle technicalities che non stimolano più nessuno. Desiderare il futuro è la spinta più grande a sognare, ad ambire, a immaginarsi qualcosa che ancora non c’è o che ancora crediamo non ci sia e che pensiamo possa essere utile, efficiente e produttivo per gli altri.

PF: Per cambiare le cose veramente, per cambiare il mondo, usiamo parole grosse, è più efficace l’architettura, il design o l’arte?

MDL: Usiamo parole grosse, né l’uno e né l’altro. La cosa più importante è cambiare la testa. Noi siamo guidati da noi stessi, dai nostri pensieri, dal nostro ego. Parlo io di ego che sono un architetto e si sa che le persone che hanno più ego interno sono proprio gli architetti o i creativi o gli artisti. Quel valore di cui parlavamo prima, quel valore che noi diamo alle cose, quel valore che noi diamo alle nostre scelte, quel valore che noi diamo al cibo, quel valore lì è tutto prodotto dalla nostra testa. È tutto un fatto di mente, di esperienze, di neuroni se vogliamo, di scienze interne alla nostra maniera di percepire il mondo. Ed è questo che determina il successo dell’architettura, del design e dell’arte, della scrittura, della letteratura, della musica, della poesia eccetera. La cosa che so e che mi piace pensare – più da architetto questa volta – è che l’ambiente influenza questo. Quello che ci influenza molto nei nostri pensieri, nella nostra attitudine a favorire qualche cosa rispetto ad altro, è proprio l’ambiente nel quale ci troviamo e l’influenza che gli ambienti hanno sulla nostra mente ma anche sulle nostre cellule.

C’è una nuova scienza biologica che si chiama epigenetica che studia proprio le cellule e la vita delle cellule in funzione dell’ambiente nel quale sono. Perché hanno scoperto e hanno dimostrato che le cellule hanno comportamenti diversi in relazione all’ambiente nel quale si trovano. Anzi, che le cellule trovano la funzione della loro specializzazione, trovano la ragione del loro evolversi, proprio stimolate da impulsi esterni che derivano dall’ambiente. Questo mi fa pensare che essendo noi uomini un ammasso di cellule mi sembra 50 mila trilioni di cellule, abbiamo 50 mila trilioni di cellule che reagiscono all’ambiente in tutti i momenti della nostra esistenza. E noi architetti abbiamo questo compito qui, di fare l’ambiente. E siccome facciamo gli ambienti più grandi, più piccoli, più belli, più luminosi, più tristi, più persuasivi, più ispiranti, abbiamo un ruolo incredibile che è quello di mettere nella nostra testa e nelle teste di chi utilizza le nostre cose pensieri positivi.Un’idea di futuro amabile, desiderabile e seducente. Quindi, alla fine di tutto, il ruolo degli architetti, degli artisti, dei designer è proprio quello di intervenire perché cresca il più possibile nella testa di tutti un’idea di futuro meritevole di essere vissuto.

PF: In questo senso ci può aiutare la scomodità? Mi spiego. Quasi sempre si pensa al design e all’architettura come mestieri pensati per farti star bene, farti sentire a tuo agio, farti fare tutto liscio senza interruzioni, senza problemi. Ma sappiamo che a volte un piccolo inciampo, un angolo in più, qualcosa di non perfettamente comodo può aiutarci magari a fare delle cose. Mi chiedo, ti è mai capitato di progettare programmando anche una forma di scomodità?

MDL: Sì, certo. Durante tutta l’architettura radicale ho disegnato edifici e architetture pericolose proprio perché volevo che la pericolosità fosse un detonatore di coscienza, di consapevolezza. Questo penso sia molto valido ancora oggi. L’architettura radicale è molto attuale oggi. È molto attuale perché l’architettura radicale aveva questo ruolo di definire l’ambito di consapevolezza dell’architettura. Oggi abbiamo un estremo bisogno di costruire l’ambito delle responsabilità di ciascuno. In questo senso sì, sono molto convinto che faccia parte della polarità, degli argomenti più completi. Il fatto che dentro lo stesso progetto ci sia il positivo e il negativo, ci sia la comodità e la scomodità, ci sia il chiaro e lo scuro, ci sia il giusto e lo sbagliato.

PF: A livello personale ti dà più soddisfazione progettare lo spazio o progettare gli oggetti?

MDL: Me lo sono domandato tante volte. È una bellissima domanda. Devo dire che sono gli oggetti che fanno lo spazio e non lo spazio che fa gli oggetti. Per cui bisogna sapere disegnare gli oggetti per intravedere lo spazio che li circonda. Senza gli uni non abbiamo gli altri. E senza lo spazio non avremmo gli oggetti. Sono due polarità all’interno di un elemento completo molto ricco che è il mondo della fisicità nella quale viviamo.Però sappiamo che oggi c’è anche molto spazio non fisico che fa parte della nostra vita quotidiana. Ed è questo sul quale insisto. Proprio perché ci sono miliardi di mondi virtuali e ci sono miliardi di mondi virtuali che stanno arrivando e sempre con maggiore velocità e sempre con maggiore insistenza. Penso che dobbiamo assolutamente imparare non tanto a rifiutarli, perché rifiutandoli non si combina niente, quanto a viverli con una responsabilità costante, quotidiana, ad ogni momento. Tutte le cose che valgono vanno curate continuamente. Non puoi dire “quella roba lì vale e la metti da parte”. C’è stato Mattarella che pochi giorni fa ha detto “la democrazia è una gran bella cosa ma bisogna curarla tutti i giorni”. Ho detto “sì, anche quella, certo, ma ha ragione, è giustissimo”. Anche la bellezza è una cosa che devi curare continuamente tutti i giorni.Anche la comodità la devi curare tutti i giorni. Anche il mondo della mente, il mondo dei nostri pensieri, va curato tutti i giorni. Perché anche il mondo dei pensieri ha i suoi problemi di diventare marcio, di diventare vecchio, di cambiare. Questa è l’altra cosa fondamentale oggi dei paradigmi dell’epoca nella quale viviamo.Che tutto cambia e tutto cambia sempre più velocemente. E il cambiamento è fautore di positività, non certo di negatività, non certo di danneggiamento. A meno che non decidi che lo rifiuti e allora sì, sono guai.

PF: In questo senso mi sembra di capire che tu abbia un rapporto di fiducia e di frequentazione anche con i social. Perché ad esempio guardando il tuo Instagram ci sono dei video molto belli, divertenti per chi li guarda, anche immagini, riflessioni e tutto. Ma io ho l’impressione che ti diverta anche tu a farlo.

MDL: Assolutamente sì. Anzi per fortuna ho troppe cose da fare perché non posso dedicarci abbastanza tempo e attenzione. Comunicare è importante. Prima abbiamo parlato delle cellule e degli ammassi di cellule, ma noi come uomini siamo degli ammassi di cellule che fanno parte di un ammasso di cellule ancora più grande che l’umanità intera. C’è tanto da fare lì, perché anche l’architettura, anche il design, non sono cose che fanno parte solamente dell’industria, del mercato, del sistema commerciale e consumistico nel quale viviamo. Fanno parte dei nostri comportamenti. Noi ci comportiamo e pensiamo a cosa vogliamo, a cosa desideriamo per questa sera, per domani, per il prossimo mese, per il prossimo futuro. Lo verifichiamo e lo sperimentiamo con i nostri comportamenti. I nostri comportamenti si riverberano sui comportamenti degli altri.E questo riverbero fa sì che qualsiasi ispirazione che noi riusciamo a introdurre in questo meccanismo di riverbero, sia un’ispirazione vibrante, positiva, luminosa, fa vibrare bene. Sai quella storia? C’è uno pseudoscienziato giapponese, amante della fotografia, che si è messo a fotografare i fiocchi di neve. Li fotografava in continuazione, ne ha fotografati tantissimi. Sai che i fiocchi di neve sono sempre diversi?

PF: Certo.

MDL: Bene, si è accorto che le fotografie dei fiocchi più belli che ha fatto erano di quando lui era felice. E quando lui era triste i fiocchi di neve venivano brutti, venivano corrosi, venivano malformati. E in qualche maniera ha dato occasione ad altri di verificare la cosiddetta memoria dell’acqua. Perché l’acqua ha una memoria che mi sembra stupendo. Pensa che col problema che abbiamo di memoria dei computer se potessimo far diventare gli oceani la memoria della nostra memoria! Questo fa sì che quando progettiamo oggetti o ambienti o spazi che determinano e influenzano i comportamenti delle persone di chi usa questi oggetti, di chi usa questi prodotti, di chi usa questi spazi, come architetti abbiamo una responsabilità che è gigantesca, che non è solamente far più belli o più brutti le città mettendo più alberi o meno alberi. Abbiamo un ruolo che trascende di molto la fisicità delle cose.

PF: Abbiamo parlato prima di elettricità, hai usato spesso il termine “luminoso” e la prossima domanda riguarda il contatore della luce che nel 2001 hai disegnato per Enel. Era il primo contatore elettronico nelle case degli italiani, quindi, era un oggetto fortemente rivoluzionario che si sarebbe potuto immaginare come un’astronave. Invece no, tu hai disegnato un oggetto molto bianco. Ancora prima di sapere che l’aveva progettato un designer di grido, ho riconosciuto una faccia, una specie di bocca, una specie di sorriso, per cui era una presenza in uno sgabuzzino, per carità dietro l’angolo, ma tutte le volte che lo guardavo mi strappava un sorriso. Mi sono sempre chiesto: ma questa faccia è arrivata per caso o era proprio intenzionale?

MDL: Ti dirò che ho disegnato due modelli di contatore, la prima generazione, quella che hai citato tu adesso, e anche la seconda. Sono tutti e due nati da un’idea di maschera, il fatto che assomigliasse a una faccia, magari poteva esserci delle intenzioni, ma il gioco delle componenti interne di un contatore è tale, per cui non è che poi decidi dove mettere l’interruttore, dove mettere il display o così via. Però il fatto che una macchina che fa da contatore, come quella del contatore dell’Enel, non avesse più il compito di diventare una scatola tra le tante scatole che abbiamo attorno, quello ce lo siamo posti quella volta. È un progetto fatto con Tatò. Ai tempi di Tatò c’era questa fantasia al potere [per cui] si poteva anche tentare di rompere quegli stilemi, quelle convenzioni che abbiamo in testa, che sono molto spesso gli impedimenti più grandi che abbiamo al cambiamento.

PF: Parliamo di leggerezza. Alla Lake Como Design Week di quest’anno presenti una litografia che hai realizzato con edizioni Lithos. Di cosa si tratta? Come è nata, come è cresciuto questo progetto?

MDL: La leggerezza è un tema che mi è sempre piaciuto moltissimo e l’ho anche frequentato intellettualmente molto spesso. È una piccola architettura che ho disegnato. Più che nelle forme che sono all’interno dell’architettura, è stato nello spirito con il quale l’ho fatto. Ho cercato di farla con lo spirito più gioioso possibile. La leggerezza è proprio per me il sinonimo di gaiezza, di felicità. Le cose più pesanti sono quelle che abbiamo nella testa. Io capisco molto i giovani di oggi, abbiamo parlato di giovani che si sentono facilmente portati alla depressione, alla tristezza, perché è tutto così pesante. E se non riusciamo a fare le cose con più leggerezza, ma farle con la testa più leggera, allora anche il disegno più leggero non è leggero perché è stato guidato da un effetto di pesantezza.

PF: Secondo te, nelle cose che hai fatto negli anni, qual è la cosa più leggera che sei riuscito a concepire?

MDL: La risposta immediata è la Tolemeo, perché sta in piedi da sola, la molla e il sistemino cinematico che lo tiene su, è tutto nascosto. E poi è leggera, leggera e sembra fatta di niente. La leggerezza è molto spesso più legata al pensiero che guida il progetto che non all’effetto finale. Adesso sto disegnando per me, come sperimentazione mia e del Circle, stiamo disegnando una casa fatta tutta di legno, senza colle, senza cemento, senza vernici, verificando che cosa vuol dire fare sostenibilità e pensare alla sostenibilità. La sostenibilità è il grande tema di oggi. Anzi, tornando all’idea dello spirito del tempo, direi che lo spirito del tempo oggi è il rapporto con la natura. È il rapporto con la natura dove l’invadenza dell’uomo nella natura ha superato quei limiti che ci fanno sentire noi appartenenti alla natura. Penso un po’, siamo arrivati al punto di pensare che la natura appartiene a noi. Capisci che la sostenibilità in questa maniera non funziona? Cioè, la sostenibilità non può funzionare se pensiamo in termini di una soluzione. La sostenibilità sono mille sostenibilità, migliaia e migliaia di sostenibilità, ogni volta diverse, in ogni momento della vita diversa, in ogni contingenza diverso, perché sono proprio questo caotico movimento delle cose, del cambiamento, dei comportamenti, della tecnologia, della conoscenza dell’uomo che ci fa scegliere la sostenibilità più adatta ad oggi. Quindi questa casa la stiamo facendo, per cercare di capire fino a dove possiamo portare la sostenibilità.Per esempio, ti dico, abbiamo pensato che una casa così è una casa senza plastica, non ci metteremo mai niente di plastica. Beh, e i cavi elettrici? È una casa assolutamente compatibile con l’idea di sostenibilità di oggi, però non è per niente sostenibile perché ci sono i cavi, i tubi, tutto quanto ha una relazione con l’insieme che non può essere risolto con una ricetta, con una formula, con una soluzione che ti dice “questa è la maniera giusta di fare”. Lo devi fare e devi sapere anche che non è definitiva, che non è l’unica, che cambierà e che anche le cose più giuste che fai oggi saranno giudicate, sbagliate nel futuro. E ci saranno altre cose nuove, altre cose giuste da pensare, altre cose… insomma, il problema è la saggezza. Bisogna diventare saggi. Pensa te, pensa. Noi stiamo parlando di sostenibilità e non ci siamo ancora messi d’accordo tra uomini e donne. Continuiamo a litigare, io continuo a litigare con mia moglie, litighiamo amorevolmente in assoluto.Però voglio dire, ci sono talmente tante cose che producono contrasti, separazioni. E guarda, questo del rapporto tra uomini e donne per me è fondamentale. Fondamentale nella sostenibilità. Sai perché lo penso?Perché sono assolutamente convinto che la soluzione alla sostenibilità è in mano alle donne.

PF: D’altronde è madre natura, non è padre natura.

MDL: Esattamente. E questo fatto della madre natura ti fa capire, intanto, il ruolo della fertilità. I progetti più belli di architettura, ai quali sono anche più affezionato intellettualmente, sono questi progetti di architettura fertile. E questa è un’altra, una delle migliaia e migliaia di sostenibilità possibili. Perché il problema è far sì che tutto quello che facciamo non sterilizzi il mondo, ma lo renda ancora più fertile, vitale e dinamico. Sai che bello se risolvessimo il problema della fertilità e della sostenibilità proprio rivedendo il nostro rapporto di uomini con le donne? E di donne con gli uomini, chiaramente.

PF: Sono andato a recuperare una cosa che hai scritto nel ‘73, “Il discorso del designer in generale”. Bellissimo, invito gli ascoltatori a cercarlo online. Leggo solo tre righe: “Io designer amo la natura e combatterò fino all’ultimo con tutte le mie forze per difendere l’azzurro dei cieli, il blu degli oceani, il verde dei prati, il bianco delle nevi, il rosso del tramonto”.

MDL: Che poeta! Senti, erano i primi anni in cui si parlava di ecologia, il ‘73. I primi anni alla facoltà di architettura di Firenze l’ecologia non esisteva. Cioè, era proprio un’idea così balzana di qualcuno che aveva pensato che potesse essersi un problema nei rapporti con l’altro. E per me quella specie di poesia serviva proprio per portare l’attenzione su questo tema. Questo mi fa ancora di più pensare come sono cambiate le cose nei 50 anni di professione che ho vissuto io. Ho iniziato a lavorare nel ‘75, sono 49 anni. Da allora a oggi le cose sono cambiate molto, moltissimo. Sono convinto che cambieranno molto più velocemente nel prossimo futuro e vorrei essere pronto ad accettarle tutte quante, anzi a trarne il vantaggio più possibile.

PF: Michele, è arrivato il momento della raffica. Ti ricordo, sono dieci domande, solo risposte secche. Una possibilità di passare ce l’abbiamo, e una sola possibilità di argomentare. Ok? Parto. Il prossimo oggetto che vorresti disegnare: un set di posate o un’automobile?

MDL: Assolutamente un set di posate.

PF: Prima di addormentarti, lettura di un saggio o di un romanzo?

MDL: Un romanzo romantico.

PF: Quasi un’argomentazione, ma la passiamo. Al risveglio, la prima cosa, acqua o caffè?

MDL: Una carota. Una carota perché la prendo davvero.

PF: Questa ti chiedo di argomentarla. Te la do come bonus, ma voglio l’argomentazione.

MDL: Una mia figlia mi ha insegnato che se prima di mangiare qualsiasi cosa o di ingoiare, ingurgitare qualsiasi cosa alla mattina, mangi una verdura, tutta la reazione biologica del tuo corpo con gli zuccheri cambia completamente. E quindi il processo delle sostanze è molto più favorevole se mangi prima una verdura. Tra tutte le verdure che mangio volentieri alla mattina ci sono i finocchi e le carote. In questo momento preferisco le carote.

PF: Fantastica questa. Per la prossima vacanza, Italia o Estremo Oriente?

MDL: Non sono mai stato al Polo Nord.

PF: Il prossimo progetto ideale, utopico: un grattacielo in una metropoli o una nuova città in mezzo alla natura?

MDL: Sicuramente un intervento dentro alle città. Credo che il consumo del suolo sia uno dei grandi problemi dell’umanità oggi. Non farei una città in mezzo alla natura, forse farei una città galleggiante in qualche mare del sud.

PF: Per progettare con tecnologie analogiche, preferisci disegno a matita o disegno a penna?

MDL: Le uso tutte e due, però da un po’ di anni a matita, però matita grassa, 8B o addirittura 9B.

PF: Bella, con una punta bella spessa.

MDL: No, appuntita ma morbida.

PF: Per rappresentare e raccontare il design e l’architettura, meglio l’illustrazione o la fotografia?

MDL: La parola.

PF: A Parola Progetto, questa frase qua! Basta, io la metto proprio come sottotitolo.

MDL: No, questo non so, dopo lo tagli, non ha importanza. La narrazione nei progetti è fondamentale, proprio perché il progetto, la prima cosa che deve fare il progetto è penetrare nella mente dei tuoi interlocutori. Se non penetra nella mente dei tuoi interlocutori non hai fatto niente, può essere il progetto più bello della terra, ma non è niente perché non è compreso, non penetra dentro, non ti seduce, non fa niente. La narrazione, la maniera con la quale racconti un progetto è fondamentale proprio per convincere e sedurre nel senso che vuoi dare a quella cosa. Harari lo dice benissimo: noi siamo fatti dalle storie che inventiamo, tutto è storia, dalle religioni ai diritti civili alle nazioni, ai soldi, che è bellissima la storia dei soldi. Anche i progetti sono storie, sono narrazioni e come tale il primo strumento che usi è sicuramente la parola.

PF: Per progettare in digitale, computer o tablet?

MDL: Silenzio assoluto perché né l’uno né l’altro.

PF: Abbiamo il passo, per cui passiamo. Una notte tutta per te a visitare un museo, completamente da solo: Prado o Capodimonte?

MDL: Capodimonte, soprattutto perché Capodimonte è più legato, ci leggi anche l’evoluzione popolare, l’evoluzione di un popolo, l’evoluzione di una mentalità fantastica, fantasiosa, immaginativa come quella di Napoli.

PF: Si progetta meglio in silenzio o con una musica di sottofondo?

MDL: Si progetta meglio da soli e con gli altri. Nel senso che progettare architettura o design vuol dire scegliere dentro te stesso qualche cosa che vale anche per gli altri. Disegnare qualche cosa che per te ha un senso e che funziona bene, ma che ha un senso e funziona bene anche per gli altri. Quindi è tutto un continuo far riferimento a te stesso e alla società che hai fuori di te.

PF: Bene, finita la raffica. Non abbiamo rispettato tutte le regole, ma io mi sono divertito lo stesso, va benissimo. Allora Michele, la domanda finale classica del podcast. Un libro per te importante che dovremmo leggere anche noi?

MDL: Uno solo?

PF: Le regole le facciamo noi, per cui può essere anche più di uno.

MDL: Abbiamo appena nominato Harari, per cui “Homo Deus” va benissimo. Però abbiamo nominato anche l’ego, i pensieri che abbiamo in testa, il mondo che ci passiamo all’interno dei nostri pensieri e quindi Eckhart Tolle, “Una realtà nuova” [“Un nuovo mondo”].

PF: Grazie, grazie del consiglio e grazie per aver partecipato a Parola Progetto.

MDL: Grazie a te, mi sono divertito molto anche io.

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