Parola Progetto About
STAGIONE 6 — EP. 6

Francesca Ragazzi: il futuro della moda attraverso lo sguardo di Vogue

02/2024 — 34:33

Cosa vuol dire dirigere i contenuti e le strategie di un giornale di moda? E come si può farlo senza perdere il contatto con la realtà? Di questo e molto altro parliamo con Francesca Ragazzi, Head of Editorial Content di Vogue Italia.

In un dialogo aperto e sincero Francesca ci anticipa il programma dei festeggiamenti per il 60 di Vogue Italia, senza dimenticare eventi come “Forces of Fashion” e “Italian Panorama”, grazie ai quali promuove la moda in tutte le sue sfaccettature.

 

I link dell’episodio:

– Forces of Fashion https://www.vogueforcesoffashion.com

– Il progetto “Fashion Panorama – The Italian New Wave” https://fashionpanorama.vogue.it

– La prima copertina di Vogue Italia con Chiara Ferragni https://www.vogue.it/moda/article/chiara-ferragni-copertina-vogue-italia-ottobre-2021

– La copertina di Vogue Italia con Bella Hadid e la fotografia che sperimenta con l’intelligenza artificiale https://www.vogue.it/article/bella-hadid-cover-vogue-foto-intelligenza-artificiale

– L’intervista di Federico Chiara a Elly Schlein https://www.vogue.it/article/elly-schlein-pd-intervista-esclusiva

– L’intervista di Francesca Faccani a Flavio Lucchini https://www.vogue.it/article/flavio-lucchini-intervista

PF: Sono Paolo Ferrarini e questo è Parola Progetto.

Parola Progetto è un podcast di dialoghi con persone che vivono di progetti, dove si racconta il design in tutte le sue forme, senza oggetti e immagini, solo attraverso la parola.

Ed eccoci qua.

Oggi siamo a Milano con Francesca Ragazzi, Head of Editorial Content di Vogue Italia. Dopo aver studiato lettere moderne alla Sorbonne di Parigi, nel 2010, appena laureata, Francesca inizia la sua carriera nell’editoria con uno stage presso la sede parigina di Vogue Italia. Poco dopo inizia a lavorare dall’Europa per Vogue US, esperienza che la porta poi a trasferirsi negli uffici centrali di New York. Torna in Italia nel 2021 e assume il ruolo che riveste ancora oggi, ovvero responsabile delle operazioni editoriali, della strategia e della visione del brand su tutte le piattaforme. In 13 anni di lavoro presso con Condé Nast, ha lavorato a stretto contatto con personaggi del calibro di Anna Wintour, Edward Enninful, Virginia Smith, Emanuele Farneti, Grace Coddington e Tone Goodman.

E quest’anno sarà la maestra di cerimonie per la celebrazione dei 60 anni di Vogue Italia.

Ciao Francesca, benvenuta a Parola Progetto.

FR: Ciao Paolo, grazie per l’invito.

PF: Allora, partiamo dagli inizi. Sei arrivata a Vogue da stagista e in poco più di 10 anni sei diventata direttrice. Qual è stato il primo passo, il primo movimento nella giusta direzione all’interno di questo mondo?

FR: Credo che il vero passo che ha fatto la differenza è stato aver fatto sempre l’extra step, quindi un passo oltre. Sin dall’inizio del mio stage ho cercato di fare un’esperienza molto trasversale, che fosse quella di organizzare gli shooting fotografici, fare un po’ di corrispondenza per il sito di Vogue che proprio in quegli anni lanciava, fare rappresentanza del brand con gli uffici stampa, tutto quello che oggi poi è la sintesi del mio lavoro anche in quanto direttrice responsabile e responsabile dei contenuti editoriali. Quindi una grande curiosità il lanciarsi nella moda che per me è il linguaggio più vivo che possa esistere e per questo l’ho scelto.

PF: Quando ti è arrivata la proposta, una mail, una telefonata, una riunione, non so, comunque quando ti è arrivata la proposta per il ruolo che hai adesso, che ricopri adesso, il primissimo pensiero, qual è stato?

FR: Intanto un sogno che aveva superato il mio sogno, perché io non ho mai, non mi sono mai sentita frustrata in questo lavoro. Mi sono sempre sentita al posto giusto nel momento giusto, che fosse Parigi, che fosse poi New York, ma anche a Milano nell’esperienza con il direttore precedente Emanuele Farneti. Quindi un grande senso di tranquillità. E poi ho avuto la fortuna che il mio capo che mi ha chiamata a offrirmi questa carica, Anna Wintour, direttore responsabile di tutti i contenuti editoriali di Vogue, oltre che editor in chief di Vogue America, mi ha detto di essere molto autentica, di raccontare anche me stessa e che se avessi avuto un momento di panico di fare una passeggiata per strada, guardare la vita e rimanere tranquilla.

PF: Com’è il rapporto tra voi direttori e direttrici? Vi confrontate costantemente, fate riferimento in una maniera – come dire – verticistica con l’America? Perché mi sembra di capire che negli anni, negli ultimi anni è stato creato proprio un network di competenze in tutto il gruppo.

FR: Grazie per la domanda. Assolutamente sì, la visione che abbiamo, la nostra strategia editoriale è assolutamente orizzontale, non verticale, quindi bisogna davvero immaginarselo come un arcipelago di tante voci che interagiscono tra loro e cercano fili conduttori. Quello che dico sempre è che è un po’ come sedersi al tavolo dell’ONU con tutti i paesi, no? Tutti i paesi sono lì e un po’ vinca il migliore. Non ti nascondo che c’è ancora molta competizione, ma è sana perché è operata a carte scoperte. Quindi in questi grandi tavoli globali vengono chieste le idee o che cosa secondo ognuno, secondo ogni territorio è rilevante oggi per la cultura sia locale che globale. Insomma, bisogna rispondere, quindi chi risponde le cose più giuste ha anche più rilevanza. Penso che essere chi rappresenta la bandiera italiana in questo tavolo sia intanto un grande privilegio, un onore, ma anche una grande responsabilità perché il Made in Italy e l’Italia da sempre è centrale, quindi il mondo guarda a noi e chiede a noi cosa succede, qual è la temperatura della moda, tanto viene da qui, lo sappiamo.

PF: Quindi tu senti che ancora c’è questa centralità italiana o è una centralità più europea?

FR: Quando parlo di centralità è centralità dell’Italia come culla della creatività, come filiera produttiva e quindi interessa a livello di storytelling a tutti i paesi vedere e sapere cosa facciamo noi. La cosa che ci piace sempre dire è che non c’è un paese centrale. Certo non ti nascondo che Vogue è un’idea americana, nasce in America nel 1892 come gazzettino tra l’altro per pochissimi eletti, magari un centinaio di persone se penso che oggi il nostro network globale ne conta oltre 70 milioni. Di sicuro è evoluto Vogue, ha superato guerre, ha visto la sua nascita in Italia negli anni 60, non a caso un decennio particolare che ha potuto accogliere quell’idea. Quindi sì, certo l’America in qualche modo tiene la rotta della visione macro ma nulla toglie alle sfumature locali. Nessuno in questo grande network impone all’altro di prendere per forza dei contenuti se non vengono ritenuti rilevanti per il mercato locale perché niente è imposto dall’alto, è una discussione, è una conversazione.

PF: In quest’ottica, il tuo primo approccio a questo nuovo ruolo è stato di rottura o di continuità?

FR: Io sono una grande sognatrice ma sono una persona anche molto pragmatica quindi ho ben consapevole il mio ruolo in questo grande puzzle, che è un po’ quello di essere il guardiano del faro. Ho talmente rispetto per Vogue, per me è un brand infinito, un po’ come quei brand che non finiscono mai e tu devi essere solo lì a tenerli in salute. Quindi la rottura che si merita Vogue è di essere sempre pronto per le grandi occasioni, essere al centro del dibattito, di fornire un servizio di qualità che ovviamente è fatto da una redazione, da tante persone che ci mettono le mani ogni giorno. Questo secondo me è quello che fa di noi il più grande influencer del mondo, proprio perché non siamo individualisti, non c’è una persona ma c’è un gruppo di lavoro e quindi per essere rilevanti ogni tanto bisogna challengiare lo status quo ed essere di rottura, ma senza dimenticare il passato perché la nostra storia è anche il futuro. In particolare questa edizione di Vogue Italia – grazie a una grande visionaria come Franca Sozzani – ha sempre saputo essere nello zeitgeist nel parlare in modo anche molto chiaro e comprensibile di problemi, temi anche politici senza aver paura di essere anche lei criticata perché le due cose sembravano essere un paradosso.

Quindi sta nel mezzo un po’ però la rottura non deve essere forzata, la rottura deve essere perché c’è talmente qualità che viene poi percepita dal pubblico. La scelta di iniziare il mio percorso dal numero 1 con Chiara Ferragni è stato perché quando 15 anni fa magari le era stata negata quella possibilità, è perché non era ancora il momento perché lei fosse sulla copertina. Ma quando l’abbiamo fatta noi, subito post pandemia nell’ottobre del 2021, non c’era nessuna ragione per escludere una donna imprenditrice  – che parlava così tanto alla società – dalla conversazione. Che in più è amante della moda, quindi ogni cosa è anche giusta a suo tempo.

PF: Prima dicevi che il consiglio che ti ha dato Anna Wintour era quello di scendere per strada se avessi avuto bisogno di un contatto con la realtà, che sembra un consiglio ovvio. Ma sappiamo benissimo che molto spesso nella moda si tende a uscire poco per strada, a rimanere molto nei circoli, a rimanere molto negli atelier, a rimanere molto nella ”moda che parla della moda”, che diventa in un certo qual modo un po’ sterile. Secondo te oggi la moda è sufficientemente in contatto con la realtà?

FR: Non ancora abbastanza quanto vorrei proprio. Perché ci è capitato – non in ultimo quando abbiamo fatto l’intervista a Elly Schlein e abbiamo visto la reazione dei più, stigmatizzando Vogue come simbolo del lusso sfrenato.

Quindi vuol dire che c’è ancora tanto lavoro da fare per una piattaforma come Vogue, ma anche per i brand di moda, per avvicinarsi davvero alle persone e trovare quel giusto equilibrio tra ”stiamo vendendo dei prodotti di lusso” ma anche ”stiamo producendo bellezza”. E la bellezza piace a tutti, in qualsiasi modo l’utente la viva, no? Che la compri o che la guardi o che abbia un’esperienza non per forza di possesso ma anche solo di accesso.

Quindi io penso che il lavoro sia ancora lungo. Penso che noi ce la stiamo mettendo tutta per uscire da questa bolla di castello dorato che dall’alto legiferava e dettava le regole, ma rimanendo aspirazionali. E noi stessi stiamo provando con tanti progetti ad avvicinarci al nostro pubblico.

PF: Uno di questi è ”Fashion Panorama, The New Italian Wave” attraverso il quale Vogue Italia supporta attivamente i giovani stilisti italiani, la nuova leva, la nuova generazione perché è giusto che vengano supportati. Ne cito solo alcuni, Cormio, Act No.1, Lessico Familiare, Magliano, Marco Rambaldi, Panaconesi e così via. In questo senso mi sembra di leggere che prosegui la visione di Franca Sozzani che teneva moltissimo al ruolo di scouting da parte di una grande testata. Ricordiamo Vogue Talents e così via. Questo progetto di Fashion Panorama come è nato e come lo state portando avanti? Perché so che lo state portando in tutto il mondo letteralmente.

FR: Sì, infatti è un progetto che ci rende veramente fieri perché è stato fatto a quattro mani con il Ministero degli Affari Esteri, quindi quando si riesce a coinvolgere l’istituzione è sempre bene in un paese dove non si fa abbastanza sistema. L’idea è nata proprio da questa esigenza, non tanto di creare un contest dove ci fosse un vincitore, ma quanto di portare nel mondo, quindi di proiettare nel mondo un’idea di Italia che fosse anche collettiva corale ma soprattutto eterogenea. Perché tra i brand che tu hai citato alcuni di loro sono stati anche vincitori di premi come LVMH Prize (adesso Nicolò Pasqualetti è dentro a quel gruppo). Pensiamo a Luchino Magliano. Ma ognuno di loro rappresenta un’Italia nuova che vorrebbe vedere in modo molto diverso gli uni dagli altri. Quindi è proprio questa un’idea di un nuovo made in Italy che attinge a un’interpretazione del paese molto più fresca, inclusiva e hanno tantissimo da dire. Questo progetto è fatto tra l’altro anche con il grande supporto di Emanuele Coccia che è stato con noi alla prima edizione a Tirana. Poi siamo andati a Detroit, Friburgo. Proprio ieri ci hanno confermato la prossima tappa (i ragazzi non lo sanno ancora) ma sarà veramente bello per tutti noi: è Los Angeles. Il luogo fisico dove questa mostra corale prende vita sono le ambasciate italiane di questi paesi quindi è anche bello che le ambasciate italiane abbiano deciso di far vedere ai loro paesi rispettivi questi contenuti, cioè un made in Italy se vuoi nuovo. 

PF: E tra l’altro devo dire che questa generazione è quella che sta secondo me proprio cambiando l’estetica italiana, l’estetica della moda italiana, alcuni andando a prendere magari dal passato, alcuni andando a prendere in posti lontanissimi dall’Italia ma facendo anche qualcosa di un po’ ruvido, acido, un pochino disturbante. Che è quello che dovrebbero fare sempre, nell’ottica di quello che dicevi tu. Sembra che sia un tratto generazionale questa rottura gentile. Devono arrivare a diventare però industria…

FR: Quello è il passaggio sfidante. Tra l’altro citi nuove estetiche e in effetti la mostra si chiama proprio ”Building new aesthetics”, in quest’idea di sforzo in avanti. [C’è] chi prende da riferimenti della provincia italiana, chi prende quindi un po’ più suburbia, chi prende le icone del passato e le rivisita. Secondo me è molto a fuoco di nuovo la creatività, la visione. Quello che dobbiamo impegnarci tutti adesso a concretizzare è l’output di business che – tornando alla tua prima domanda – è forse il grande insegnamento che anche io stessa sto imparando ad applicare ma che ho avuto dai miei anni americani.

PF: Quest’anno Vogue Italia compie 60 anni. Sono tanti 60, ma forse sono pochi perché se fai riferimento alla casa madre, Vogue Italia è adolescente. Come festeggerete?

FR: Sessantenne mi sembra tra l’altro un’ottima via di mezzo, nel senso che ci sono altre edizioni di Vogue come Vogue Mexico, per esempio, Vogue Giappone che ne compiono 25, quindi [sono] ancora Gen Z. Noi siamo una bella generazione di mezzo come mi ha detto l’altro giorno un grande fotografo, Jürgen Teller: ”sixty and sexy”. Quindi è così che mi piace vedere Vogue, una bella 60enne padrona di sé, che conosce la sua personalità e che ha una grande storia, quindi tanti aneddoti da raccontare ma anche voglia di andare avanti. Infatti il claim che abbiamo scelto per questo compleanno è ”Vogue 60 anni di futuro”, proprio perché partendo dall’ossimoro ci piace pensare che parleremo anche alla generazione Alfa, quindi chi nasce oggi e che sarà nostro lettore fra 60 anni.

Abbiamo iniziato una serie di contenuti, ovvero articoli [dedicati] a personaggi che hanno fatto la storia di Vogue Italia. Uno carino è stato quello dove abbiamo mandato la più giovane editor della redazione, appena assunta, a intervistare Flavio Lucchini, il primo art director che oggi ha 95 anni. All’inizio ha accolto l’idea borbottando ma poi si è in realtà innamorato di questa ragazza che aveva tutte le carte in regola e i riferimenti per sostenere la conversazione. Sono venuti fuori aneddoti bellissimi: per esempio il signor Armani ha creato il suo logo sulla scrivania di Vogue Italia assieme a Lucchini perché in un processo di aiuto reciproco. Gli ha detto: “Dai, ti faccio un logo, ti do qualche pagina e tu parti”. E lui è partito così. Insomma, è bello vedere che ancora una volta le grandi storie sono fatte da collaborazione e rapporti umani. 

Festeggeremo a settembre a Milano con una mostra diffusa per la città con l’idea – tornando a quello che dicevamo prima – di coinvolgere le persone e l’utente finale, non solo gli addetti ai lavori che vengono invitati alle sfilate, ma veramente invitare la città a vivere Vogue in tante forme con una mappa, un po’ un fuorisalone della moda.

PF: Immagino che ci sia stata anche questa discussione: ogni volta che si celebra un compleanno il rischio è quello di essere nostalgici, di fare il museo, di fare ”ah, bei tempi andati” quindi la nostalgia. Voi come avete trovato, come state raggiungendo un equilibrio in cui ci sia tanto futuro quanto passato, o più futuro e meno passato, comunque a non farvi imbrigliare dalla nostalgia?

FR: Non è facile. Infatti in realtà anche Anna stessa, Anna Wintour, è un po’ contraria al festeggiare troppo gli anniversari per questo rischio. E per il fatto di metterci in guardia la ringrazio, la capisco. L’idea è proprio fare leva su quella che è la piattaforma di Vogue oggi, quindi non parlare solo per esempio dell’oggetto giornale, ma parlare di tutte le nostre piattaforme e mettere l’accento sul nostro network (che appunto conta tutte queste edizioni di cui alcune hanno il compleanno) e continuare a fare leva sulla comunità di oggi.

PF: A proposito di piattaforma che si occupa di diverse cose. Qualche mese fa si è tenuta a Roma “Forces of Fashion”, una giornata (devo dire da spettatore) meraviglios, riuscitissima, in cui ci sono stati talk, incontri, dialoghi, workshop, dai giovani della nuova leva ai grandi: Chiuri, Venturini Fendi, Piccioli, De Sarno, insomma c’erano tutti. Avete dato una rappresentazione davvero completa del panorama della moda italiana. La partecipazione è stata massiccia. La critica più grande che ho sentito di quella giornata è stata: ”perché non hanno fatto una settimana?” Tutti volevano una settimana di quello che avete fatto, quindi dovrebbe durare di più, sarebbe bellissimo. Comunque come è andata? Qual è il tuo bilancio di questo sabato romano meraviglioso?

FR: Devo dire è forse la cosa più bella che mi è successa quest’anno perché davvero festeggiare l’ottobrata romana con la moda, con 10.000 persone che sono venute tra i talk e l’experience che avevamo pensato per il pubblico, a trovarci e a vivere Vogue e i protagonisti della moda in modo live – tra l’altro in presenza – è stato bellissimo. Come dici tu l’Assessorato ai Grandi Eventi e alla Moda di Roma ci ha chiesto di tornare a fare una intera settimana. Purtroppo noi siamo sempre un po’ in pochi. Come sai le redazioni non sono particolarmente popolate, ma abbiamo già la data per la seconda edizione che sarà a ottobre, sempre a Roma.

Tra l’altro abbiamo colto i grandi spunti e i suggerimenti dei protagonisti della scorsa edizione. Non so se ti ricordi, per esempio Silvia Fendi aveva detto: ”l’anno prossimo mi piacerebbe vedere anche una sarta su questo palco, non vorrei sempre solo i numeri uno perché c’è un’intera filiera”. Quindi stiamo facendo ancora un ragionamento sui mestieri della moda, su come comunicare anche l’eterogeneità che c’è dietro un prodotto che non è solo il designer.

Il feedback è stato molto positivo anche dagli addetti ai lavori perché ci dicevano che [per] chi ha l’ufficio stile a Roma a volte è molto sfidante trovare personale perché c’è un po’ quest’idea che bisogna andare a Milano. E invece no, io penso sempre – forse perché faccio una vita da pendolare – che l’Italia sia fatta da questa grande metropolitana in cui ci si debba muovere molto agilmente. Parte del corso di questo nuovo Vogue è proprio allargare i suoi confini oltre Milano. Abbiamo infatti fatto varie operazioni città-centriche, abbiamo dedicato un numero a Bologna, un numero a Palermo. Cerchiamo di fare iniziative mirate anche fuori da Milano. Qua c’è già tanta moda e bisogna continuare a farla, a crearla [però in] città come Roma (che è comunque la capitale) c’è uno storico anche della moda. L’alta moda va rimessa un po’ nel circuito, quindi speriamo che questo sia solo l’inizio. Penso che come timing l’autunno sia corretto

PF: Ma riuscirete a portare anche qualche stilista straniero quest’anno?

FR: Esatto, questa è la grande sfida dell’edizione, nel senso che è vero che come prima edizione abbiamo puntato molto sull’italianità e sulla romanità (perché erano tutti molto legati a Roma), però l’idea è assolutamente sì, Anzi, grazie per lo spunto che accogliamo.

PF: Grazie a te anche per le anteprime che ci stai dando, sono preziosissime, grazie. Nelle interviste, negli incontri, nei dialoghi che fai, molto spesso parli dell’importanza di avere un mentore. Qual è stato per te l’incontro più importante nella vita professionale?

FR: Sicuramente Anna Wintour è la persona che chiamo mentore. Senza mai regalare niente, mi ha sempre sfidato a fare meglio e incentivato. Mi ha dato comunque anche la possibilità di fare l’esperienza americana che sicuramente oggi [mi aiuta]. Poi oltre a lei ne ho tanti, sono stata veramente fortunata e credo che questo possa far la differenza assolutamente nella carriera di una persona. Se da lei ho imparato un certo approccio al mestiere, da Emanuele Farneti ho imparato anche tutta la parte di giornalismo italiano e di gestione del giornale da A a Z, perché l’ho proprio accompagnato fianco a fianco. Mentre con Anna avevo il mio mestiere, che era uno, che era quello di Fashion Editor e non vedevo veramente tutto. Quindi insomma devo dire loro, poi le grandi stylist che ho potuto assistere negli anni come Grace Coddington, Phyllis Posnick e Tonne Goodman. Essere sul set con loro, vedere la cura e l’amore per i vestiti e veramente come li si tratta, trovo che questo sia proprio “the Vogue Way”, cioè [quello] che fa la differenza.

PF:  Tu come lo metti in pratica il mentoring nei confronti delle persone che lavorano con te, o dei neoassunti, o degli stagisti, dei colleghi? Come lo metti in pratica?

FR: Quello che cerco di fare è over-comunicare con tutto il team, quindi non solo le prime linee, ma chiedere l’opinione e le idee a tutti. Anche la persona in stage appena arrivata, se ha una buona idea verrà ascoltata. Dando l’esempio, essendo molto esigente, ma sempre all’ascolto. Questo è un, credo, un tipo di leadership non scontato e non facile, perché ascoltare poi fa sì che devi anche dar seguito alle eventuali richieste, ma penso che sia quello che più si addice alla mia persona. Invito anche all’errore, sembra banale ma è importante fare e provare e poi se mai aggiustare il tiro, non c’è niente di male e non è catastrofico.

PF: Abbiamo parlato tanto di lavoro. Parliamo di scuola, torniamo indietro, facciamo un passo indietro. La cosa più importante che hai imparato sui banchi di scuola e che in un certo qual modo ti porti dietro ancora oggi. Qualsiasi scuola, cioè non dico le elementari, ma [anche] l’università.

FR: L’università, io l’ho fatta in Francia. La cosa più grande che ho imparato è dare il proprio punto di vista anche sui testi, su quello che ci facevano leggere. Era sempre un “ma tu come l’hai percepito?” piuttosto che un’imposizione dall’alto di come doveva essere per forza la lettura di quell’autore. E penso che questo in qualche modo oggi lo riutilizzo anche nel nostro mestiere, perché è vero che quello che ci salverà dall’intelligenza artificiale è proprio il punto di vista, è il fattore umano. E ho avuto la fortuna di farlo anche durante l’università.

PF: Allora, parlando dell’intelligenza artificiale, a me piace spesso citare un tuo concittadino, Samuele Bersani. Se capisci veramente come è strutturata l’intelligenza artificiale, capisci che è un grande appiattitore di pensieri, nel senso che fa delle medie matematiche di tanti pensieri altrui e li trasforma in qualcosa che sembra originale, ma che in sostanza non è mai originale. Per cui diventa, l’intelligenza artificiale secondo me, “la copia di mille riassunti”.

FR: Ah eccolo, eccolo Samuele, bellissimo. Questa tela rubo!

PF: Ok, quando vuoi, è tua! Tu hai mai provato, hai mai sperimentato creativamente con l’intelligenza artificiale? Sono appena uscite delle campagne pubblicitarie di fotografi (penso alla campagna di Etro) che lavorano creativamente con l’intelligenza artificiale, per cui esattamente come il vestito va portato e non deve portare te, anche l’intelligenza artificiale deve essere guidata e non ti deve guidare. Quindi mi chiedo, hai sperimentato, hai avuto modo di metterti alla prova con l’intelligenza artificiale?

FR: L’ho fatto con una squadra creativa che è stata quella di Carlijn Jacobs e Imruh Asha quando abbiamo fatto il servizio con Bella Hadid e la copertina chiamata “Bella Hadid e l’AI”, dove abbiamo messo la modella davanti a sfondi creati dall’intelligenza artificiale. È stato un lavoro difficilissimo perché per dare degli input che rispettassero la visione che aveva in mente la fotografa, servivano delle persone che fanno questo mestiere affascinante che ho scoperto esserci adesso nel mondo dell’AI, che è quello di “AI whisperers”, i “sussurratori dell’intelligenza artificiale”. Quanto più sei bravo a dare l’input, meglio è l’output. Però quello che mi sono portata a casa da quell’esperienza è che serve una grande padronanza del mezzo proprio per usarlo come strumento e non rischiare che sia lui a usare te.

Penso che come tutte le rivoluzioni, vada pilotata. È chiaro che penso anche a noi. Non ti nascondo che un pezzo di cronaca, banalmente “Oggi Gucci sfila alle 3:00 in Mecenate” probabilmente è un news che potrà fare l’AI. Ma il punto di vista di un giornalista o di un editor, di una persona, anche non del mestiere, che è presente alla sfilata e ne sente il profumo, il rumore dei tacchi e la musica, quello è qualcosa che l’AI non potrà mai avere. Per me è un invito ad essere ancora più umani di prima, però anche nel nostro mestiere ci saranno parti che verranno sostituite da quello. Il negazionismo in questo caso ci farà solo rallentare il processo di convivenza.

PF: Esattamente. Il tuo lavoro è un lavoro pubblico, per cui tu fai cose per il pubblico e ovviamente arrivano le critiche. Quali sono quelle più dure da digerire per te?

FR: Solo quelle della famiglia, di quando sono assente da casa perché penso solo al lavoro. Veramente tutto il resto [non conta]. In realtà io di carattere sono una che, piacendomi moltissimo le persone, essendo al 100% una people person, ho sempre voluto che tutti fossero contenti di quello che facevo, eccetera. E grazie a questa esperienza lavorativa così intensa ho iniziato un po’ a fregarmene. Adesso mi conosco sempre meglio. Non sono dell’idea, perché sai che in tanti dicono ”ah, ma basta che se ne parli”. Quello è un approccio non mio, non Vogue per me. È più interessante quando se ne parla ma vedi che comunque ci sono dei punti di vista. La bersagliata a caso mi feriva, non mi ferisce più, ho imparato a andare oltre. Quella argomentata mi piace. È sempre solo lavoro.

Le critiche più dure sono quando non riesci a conciliare magari l’impegno lavorativo con quello personale, penso che quella sia forse l’unica sconfitta.

PF: Francesca, è arrivato il momento della raffica!

FR: La raffica, ok. Aiuto!

PF: Ti ricordo le regole: sono 10 domande a sorpresa, qui t  non le hai viste prima. Solo risposte secche. Hai una possibilità di passare (se proprio ti è indigesta) e una possibilità di argomentare. Poi ovviamente, come dire, noi siamo i notai e le regole ce le facciamo noi.

FR: Che bello, mi piace.

PF: Partiamo con la raffica. Carta o web?

FR: Carta.

PF: Redazione fisica o redazione diffusa?

FR: Redazione fisica.

PF: Alle pareti di casa, fotografia o pittura?

FR: Pittura.

PF: Colazione comoda, seduta o colazione di corsa in piedi?

FR: Di corsa in piedi. Non vorrei, ma è così. La argomento.

PF: Treno o aereo?

FR: Treno.

PF: Mail o messaggi?

FR: Mail.

PF: Sul comodino, un romanzo o un saggio?

FR: Romanzo.

PF: Ti capita una giornata improvvisa di ferie, così d’emblée. Spa e massaggi o divano e copertina?

FR: No, viaggio da qualche parte. Se devo sceglierne una delle due è divano, però io non sto mai ferma, andrei via, a vedere una città di provincia che non conosco.

PF: Bello, bello. Milano o New York?

FR: …

PF: Puoi ancora passare.

FR: Passo.

PF: Attenzione, però: la prossima non puoi passare. L’ultima domanda della raffica, Milano o Bologna?

FR: Bologna.

PF: Quindi qui proprio sicura, sicura, sicura. Il cuore e la famiglia!

FR: Ok.

PF: Allora Francesca, l’ultima domanda del podcast, la domanda finale che faccio a tutti gli ospiti. Qual è un libro per te importante che tutti noi dovremmo leggere?

FR: È importante per me, non so se potrebbe essere per qualcun altro: “La nausea” di Sartre, perché è il libro che ho portato alla mia tesi di laurea e perché per il mio carattere è stato il primo vero momento filosofico verso un mio interiore più, più appunto fatto di nausea e melancolia. Quindi per me è stato un momento di svolta nella percezione delle emozioni umane.

PF: Certo, bene, bene. Un consiglio molto… 

FR: Sì, infatti, mi spiace. È importante per me.

PF: È molto diverso da quelli che sono arrivati nelle puntate precedenti, per cui ti ringrazio. Però – come dicevi anche tu prima – adesso è un momento dove la gente si studia molto, quindi magari anche una lettura così può aiutare. Bene, grazie, grazie del consiglio e grazie per essere stata con noi oggi.

FR: Grazie a voi, grazie a te.

 

 

Puntata registrata in studio a Milano il 15 febbraio 2024 e pubblicata il 16 febbraio 2024.

La trascrizione è stata effettuata utilizzando strumenti di intelligenza artificiale e successivamente editata dall’autore.

 

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